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AI Act, l’Europa morirà di troppe regole? Ecco la protesta delle aziende e i rischi



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Da Airbus a BNP Paribas, 44 grandi aziende chiedono una moratoria di due anni sull’AI Act. Mentre la Commissione UE rivede il codice di condotta, il dibattito si fa geopolitico: chi guida davvero la regolazione dell’intelligenza artificiale? E quali sono gli scenari possibili ora nella regolamentazione UE dell’AI, a rischio stallo

Pubblicato il 4 lug 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



competenze cybersecurity

Una lettera firmata dai vertici di 44 multinazionali europee riaccende la tensione sullAI Act, la legge europea sull’intelligenza artificiale. Il rischio, secondo i firmatari, è che l’Europa perda terreno nella corsa globale all’adozione dell’AI a causa di un impianto normativo complesso e frammentato. La Commissione prende tempo, ma il nodo centrale resta irrisolto: come costruire una governance dell’AI efficace, legittima e sostenibile? Il rischio di stallo è altissimo.

Scadenze AI ACTObblighi / Applicazione
2 febbraio 2025– Entrano in vigore i divieti per sistemi AI a rischio inaccettabile (es. social scoring, manipolazione subliminale, riconoscimento biometrico in tempo reale).
– Obbligo di alfabetizzazione AI per fornitori e utilizzatori.
2 agosto 2025– Obblighi di trasparenza per fornitori di modelli di IA generativa (GPAI), inclusi requisiti su dati di addestramento, copyright e documentazione tecnica.
– Entrano in vigore le norme sulla governance, sulle autorità nazionali e sulle sanzioni.
Entro fine 2025– Pubblicazione del Code of Practice per modelli GPAI (volontario ma raccomandato).
2 agosto 2026– Obblighi pienamente applicabili ai sistemi di IA ad alto rischio: requisiti tecnici, registrazione, sorveglianza e conformità.
– Avvio dei sandbox normativi nazionali.
2 agosto 2027– Applicazione completa per tutti i sistemi AI ad alto rischio già immessi sul mercato o messi in servizio.
Entro fine 2030– Conformità obbligatoria per sistemi IA integrati in infrastrutture IT su larga scala preesistenti.

Una lettera per fermare la macchina normativa dell’UE sull’intelligenza artificiale

La lettera è firmata dai CEO di 44 grandi aziende europee, tra cui Airbus, BNP Paribas, Carrefour e Philips. Indirizzata alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la lettera chiede formalmente una pausa di almeno due anni sull’entrata in vigore dell’AI Act, in particolare per le norme che riguardano i modelli general purpose, come GPT-4, Gemini e ai-di-meta-e-utile-alle-aziende-e-come-usarla/.

Secondo i firmatari, le regole attuali sono caratterizzate da ambiguità interpretative, sovrapposizioni normative e un impianto procedurale troppo rigido per poter sostenere una competitività autentica su scala globale. Nel testo si esprime una preoccupazione netta, l’Europa, pur proponendosi come avanguardia regolatoria, rischia di ostacolare proprio quelle imprese che dovrebbero guidare l’adozione dell’intelligenza artificiale. Secondo i CEO, l’incertezza normativa sta già frenando investimenti e sperimentazioni, rendendo più difficile per le aziende europee scalare l’uso dell’AI e rispondere alla velocità imposta dai mercati globali.

Un codice AI Act mancante e un calendario opaco

Il problema non si esaurisce nei principi dell’AI Act, si riflette anche nell’assenza di strumenti attuativi concreti. La legge, approvata formalmente nell’estate del 2024, prevede l’effettiva applicazione delle misure più sensibili solo a partire da agosto 2025. In questo arco di tempo, la Commissione avrebbe dovuto pubblicare entro maggio un codice di condotta rivolto ai fornitori e sviluppatori di modelli generalisti.

Quel codice non è mai stato reso pubblico. Secondo fonti interne, la Commissione sarebbe ancora impegnata in trattative riservate con alcune delle principali Big Tech americane, come Google, Meta e Microsoft, per limare gli obblighi previsti. La commissaria Henna Virkkunen ha dichiarato nei giorni scorsi che il codice sarà pubblicato “prima della scadenza di agosto”, ma anche questa promessa si scontra con un clima di crescente pressione politica e industriale. Nel frattempo, molti osservatori segnalano come i termini previsti dalla legge risultino frammentati e difficili da attuare in modo coordinato tra gli Stati membri, aprendo la strada a interpretazioni divergenti e possibili conflitti di giurisdizione.

La critica al cuore della norma: responsabilità e disomogeneità

Al centro della protesta non c’è solo la quantità delle regole, ma soprattutto la loro qualità e chiarezza. Uno dei punti più controversi riguarda il modo in cui l’AI Act potrebbe estendere alle imprese che utilizzano i modelli generativi le stesse responsabilità previste per chi li sviluppa. Alcuni passaggi del testo lasciano intendere che un’azienda che integra un modello come GPT-4 nel proprio sistema informativo interno possa essere chiamata a rispondere di questioni complesse come la violazione del copyright, la sicurezza dell’output generato o la trasparenza dell’algoritmo. A questo si aggiunge il timore, molto sentito tra startup e PMI, che l’assenza di un meccanismo armonizzato a livello europeo porti alla proliferazione di norme locali divergenti. In un mercato già difficile da navigare, le imprese più piccole rischiano di non avere le risorse per affrontare un quadro regolatorio in continua evoluzione. Al contrario, le grandi piattaforme americane, con team legali interni e risorse illimitate, sarebbero le uniche realmente in grado di gestire questa complessità, consolidando ulteriormente la loro posizione dominante.

Uno scontro di modelli: regolare per guidare o per rincorrere?

Al di là del caso specifico, il conflitto in atto rivela una tensione più profonda. L’AI Act rappresenta un unicum globale, nessun altro ordinamento, nemmeno quello statunitense o cinese, ha tentato finora di regolare in modo così trasversale l’intero ciclo di vita dell’intelligenza artificiale. Se da una parte l’ambizione europea è quella di fissare regole comuni basate sul rischio e sulla trasparenza, dall’altra l’assenza di una vera sovranità tecnologica rende la posizione dell’Unione fragile e soggetta a forti pressioni esterne. Gli Stati Uniti mantengono un approccio molto più leggero, l’Europa, invece, si muove tra due fuochi, da un lato vuole diventare uno standard-setter globale, dall’altro rischia di imporre alle proprie imprese vincoli più rigidi rispetto a quelli richiesti altrove, aggravando un già evidente divario tecnologico.

Una moratoria utile o un segnale di debolezza?

La richiesta di sospendere l’attuazione dell’AI Act solleva una domanda cruciale, siamo di fronte a una revisione necessaria per migliorare l’efficacia del sistema, oppure a una retromarcia dettata dalle pressioni delle Big Tech? Da una parte, è legittimo chiedere tempo per allineare i diversi strumenti di implementazione, garantire uniformità tra gli Stati membri e fornire chiarezza agli operatori economici. Nessuna regolazione efficace nasce dalla fretta. Dall’altra, esiste il rischio concreto che questa sospensione venga interpretata come un segnale di debolezza normativa, aprendo una fase di deregolamentazione implicita e compromettendo la credibilità dell’Unione come attore regolatore globale. La Commissione Europea ha dichiarato di essere pienamente impegnata nel portare avanti l’AI Act, ma ha anche ammesso che “tutte le opzioni restano aperte”. In questa ambiguità si riflette l’incertezza più ampia che attraversa oggi l’Europa. Riuscirà a governare la trasformazione tecnologica con strumenti autonomi e legittimi o resterà spettatrice di regole scritte altrove?

Quattro scenari per il futuro dell’AI Act

Scenario zero. L’inerzia silenziosa, tutto resta formalmente in piedi, nulla avanza davvero

In questo scenario, la Commissione Europea non annuncia né un rinvio né una modifica formale dell’AI Act. Il codice di condotta viene pubblicato in ritardo, in forma interlocutoria o insufficiente, e le autorità nazionali di supervisione restano prive di indicazioni operative concrete. Gli obblighi entrano in vigore secondo il calendario previsto, l’assenza di enforcement efficace e l’opacità interpretativa scoraggiano le imprese ad attuare vere politiche di adeguamento. La norma resta “scritta”, ma si applica poco o male. Il risultato non è uno scontro diretto tra politica e industria, ma piuttosto un lento logoramento della fiducia nella capacità dell’Europa di darsi regole esecutive stabili e sensate. L’AI Act rischia di diventare una norma “zombie”, ancora in piedi, ma senza impatto reale sul tessuto produttivo. Le conseguenzen, le grandi piattaforme proseguono secondo standard propri o extraterritoriali (USA, Singapore, UK), mentre le PMI europee restano nell’incertezza o rinunciano del tutto all’adozione dell’AI. La distanza tra principio regolatore e realtà applicativa si fa abissale. Il danno non è immediato ma profondo: si erode la legittimità della governance europea proprio mentre servirebbe maggiore coordinamento strategico.

Scenario 1. Il compromesso tecnico-giuridico, rinvio selettivo.

La Commissione accoglie le richieste dell’industria ma limita l’effetto a un rinvio tecnico e mirato delle norme più controverse, in particolare quelle sui foundation model. Il codice di condotta viene pubblicato entro l’estate ma in versione semplificata, con requisiti alleggeriti. Alcuni obblighi vengono differiti di 12-24 mesi, senza toccare l’impianto generale della legge. Questo scenario permette all’Europa di salvare la faccia come legislatore globale e nel frattempo concedere spazio agli operatori per adattarsi. Siamo davanti allo scenario più probabile se si impone una logica di realismo istituzionale.
Conseguenze: L’AI Act resta formalmente in vigore ma perde di incisività nella sua prima fase. Le Big Tech americane riescono a spingere verso un modello più permissivo, mentre le PMI europee ottengono maggiore chiarezza e tempo di adattamento.

Scenario 2. La frattura politica, l’AI Act viene riscritto o svuotato

Le pressioni convergenti da parte di CEO europei, lobby statunitensi e governi nazionali portano a una vera e propria crisi politica nella Commissione. Si apre una fase di riscrittura dell’AI Act o una sua “messa in ibernazione” fino al 2027. La mancanza di coordinamento tra gli Stati membri aggrava l’effetto, ogni Paese inizia a adottare proprie linee guida, aprendo la strada a un’Europa a geometria variabile sul fronte dell’intelligenza artificiale. Conseguenze: L’Unione Europea perde la sua posizione di apripista nella regolazione dell’AI mentre le aziende si orientano su standard de facto imposti dagli Stati Uniti o dalla Cina. Si afferma una governance “multi-velocità”, con forti asimmetrie nel mercato interno.

Scenario 3. Il consolidamento sovrano, l’Europa rilancia con strumenti attuativi

Contro ogni previsione, la Commissione usa la crisi come leva per accelerare l’attuazione concreta della legge. Il codice di condotta viene pubblicato in versione avanzata e accompagnato da strumenti operativi, helpdesk normativi per le PMI, incentivi alla conformità, linee guida armonizzate a livello europeo. Viene proposta una sandbox paneuropea per testare i foundation model in ambienti regolati, favorendo così una convergenza tra innovazione e compliance.
Conseguenze: L’Europa si conferma laboratorio normativo globale, attirando attenzione internazionale anche da parte di Paesi terzi (es. Canada, Brasile, Sudafrica). Si riduce il rischio di “AI dumping” normativo e aumenta la legittimità della governance europea. Lo scenario è il meno probabile ma il più ambizioso e strutturalmente resiliente.

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