le sfide

Competenze digitali, perché puntare sulla formazione: le iniziative in atto

Il PNRR stanzia finanziamenti ingenti per la digitalizzazione. Ma nessuna trasformazione può essere efficace ed equa se non si concentra sulle persone. Insieme alle infrastrutture digitali è necessario, perciò, investire sulla formazione dei cittadini. E farlo imparando a valutare i progetti

Pubblicato il 02 Mag 2023

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

punti digitale facile competenze digitali

In un’economia sempre più complessa, la crescita e la competitività passano dal livello di competenze delle persone. Un insieme di competenze, che fa la differenza per il successo di un’azienda, di un’organizzazione pubblica, per lo sviluppo economico e sociale di un’intera nazione. Ma come accrescere le competenze delle persone?

Competenze digitali: molti progetti, ma con quali effetti? La valutazione sarà la svolta

Nel mondo, ogni Paese sta reagendo in maniera differente a questa sfida, con un’enfasi diversa sulla messa in atto di investimenti per alzare il livello di competenze, soprattutto quelle digitali, perché nel prossimo futuro qualsiasi lavoro richiederà competenze digitali. In Italia, il governo è alle prese con interventi di promozione di meccanismi di apprendimento digitale, in particolare per aumentare l’occupabilità giovanile e femminile, favorendo una forza lavoro più qualificata, spingendo sul sistema educativo e formativo.

Gli interventi sono su più livelli e se il mercato sembra essere più reattivo e pronto, il nostro sistema formativo e la scuola lo sono un po’ meno. Scontiamo ritardi che devono essere colmati, soprattutto guardando alle esperienze degli altri, e se impariamo a valutare i progetti formativi, puntando su quelli che hanno dimostrato di avere l’impatto maggiore.

La rivoluzione tecnologica acuisce le disuguaglianze

Nel suo ultimo rapporto “Job skills of 2023”, Coursera ha incrociato i dati di aziende, studenti e istituzioni governative di tutto il mondo, mettendo in luce quali sono le competenze digitali e personali che meglio rispondono alle esigenze lavorative della forza lavoro dei prossimi anni.

Le competenze in più rapida crescita sono naturalmente le competenze digitali. La continua evoluzione della tecnologia significa che i datori di lavoro cercano regolarmente nuove competenze digitali dai potenziali assunti, riqualificando al contempo i lavoratori esistenti. Competenze come la visualizzazione e l’analisi dei dati sono in ascesa, così come quelle incentrate sull’esperienza dell’utente e quelle che uniscono competenza tecnica e capacità di gestione progettuale.

Essere in grado di comprendere e utilizzare i dati è tra le competenze che anche la Commissione europea vorrebbe incrementare tra i cittadini europei, consapevole del rischio, ben descritto nel rapporto «Science, Research and Innovation Performance of the EU, 2022» che la “tecnologizzazione dell’economia abbia come conseguenze nuove forme di esclusione o marginalità, dovute proprio alle carenze di competenze digitali”. Insomma, le disuguaglianze legate alle competenze, secondo gli esperti, saranno aggravate dalla carenza di lavori qualificati e dal surplus di lavoratori non qualificati rispetto all’offerta di posti di lavoro che richiedono scarse qualifiche. I giovani, le donne e gli over 55, soprattutto a causa dell’inadeguatezza del sistema di insegnamento e formazione, saranno le categorie di persona esposte a un rischio più elevato.

Se l’ondata tecnologica aggraverà o mitigherà le disuguaglianze sociali, “dipenderà in gran parte dal successo di misure volte ad ampliare l’accesso alla tecnologia e a elaborare strategie d’inclusione sociale e digitale”.

Cosa fare allora? Farsi carico delle problematiche dei soggetti deboli significa mettere in campo una molteplicità di strumenti, in modo da sopperire alla multidimensionalità del bisogno. Poiché la fragilità individuale può manifestarsi simultaneamente in molti campi della vita di una persona (apprendimento, inserimento lavorativo, relazioni sociali, gestione del tempo libero e della salute), occorre che il soggetto pubblico metta in campo interventi coordinati su diversi fronti: istruzione, formazione professionale, politiche sociali e lavoro.

La sfida delle competenze: l’UE punta a formare un milione di persone

Un intervento per formare le competenze del futuro è l’iniziativa Deep Tech Talent, guidata dall’Istituto europeo di tecnologia e innovazione (Eit) e lanciata ufficialmente nel 2022 dalla Commissione Europea. Nei prossimi tre anni l’iniziativa intende raggiungere 1 milione di persone, con programmi di educazione in settori all’avanguardia indispensabili per affrontare le sfide globali.

Nel primo gruppo di aziende che hanno aderito al progetto rientrano l’irlandese Abodoo, specializzata nelle competenze software, la statunitense Intel, leader nel campo delle tecnologie digitali e la JA Europe, un’organizzazione belga che fornisce percorsi di apprendimento e preparazione a giovani studenti.

Il progetto si inserisce tra quelle iniziative presenti nella piattaforma europea per le competenze e l’occupazione, dove sono presenti tutti progetti dei Paesi aderenti. Una vetrina dalla quale attingere e imparare, soprattutto da quelle nazioni, come Danimarca e Olanda, che hanno i livelli più alti di digitalizzazione statale e che attuano politiche educative prevalentemente basate sull’impego del digitale o percorsi di formazione molto aggressivi e indirizzati ai giovani di ogni nazionalità.

Italia ancora indietro sulle competenze digitali

I dati più recenti ci dicono che se l’Italia recupera due posizioni per il DESI e balza al primo posto in Europa per raggiungimento dei target previsti dal PNRR per la digitalizzazione, rimane indietro sullo sviluppo delle competenze digitali. È il nostro tallone d’Achille.

In Italia, 26 milioni di persone non hanno competenze digitali di base. Si tratta del 54% della popolazione tra i 16 e i 74 anni, rispetto al 46% della media UE. Tra queste, le categorie più indietro rispetto ai nostri partner europei, ci sono i giovani tra i 25 e i 34 anni. Una coorte che, in teoria, dovrebbe rappresentare la forza lavoro più qualificata. Inoltre, solo il 43% delle donne possiede competenze digitali di base, rispetto al dato europeo del 52%. Il nostro Paese, in aggiunta, presenta il più alto tasso di Neet: sono, infatti, più di 3 milioni.

Questa situazione non solo limita i diritti di cittadinanza di milioni di persone, privati di servizi sempre più digitalizzati, ma rappresenta, per molti economisti, un forte ostacolo allo sviluppo del nostro Paese, proprio perché il capitale umano è decisivo in un mondo dove la formazione è sempre più lo snodo che rende aziende e Paesi più o meno competitivi.

Sarebbe dunque arrivato il momento di rendere la tecnologia digitale parte integrante del nostro processo educativo e di formazione, nonché di rendere tutti gli attori sempre più consapevoli di quanto c’è bisogno di lavorare su questo tema.

I ritardi di una formazione ancora tradizionale

L’Osservatorio EdTech del Politecnico di Milano ha analizzato alcuni dati sulla penetrazione nel nostro Paese degli strumenti digitali messi al servizio dell’apprendimento, nel comparto della scuola, delle università, delle imprese e delle startup. Se il mercato risulta più maturo e pronto, la scuola lo è meno. Le scuole investono poco in apprendimento digitale e risultano poco innovative.

Sono ancora le tecnologie tradizionali a supportare i processi di apprendimento (registro elettronico, lavagne interattive e videoproiettori). Ancora poche le scuole che si affidano alle tecnologie più avanzate, come il software per la creazione di contenuti all’interno di laboratori, le learning app, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale.

Il coding e la robotica rientrano nei piani futuri ancora di poche scuole, e per lo più sono viste ancora come materie distanti. D’altronde, dell’inserimento del coding nel ciclo scolastico si è iniziato a parlare nel 2019, anno in cui è stata approvata una mozione per la quale il coding doveva entrare nelle scuole italiane entro il 2022, ma poco finora è successo. Ora con il PNRR sono previsti tre nuovi passaggi: la formazione dei docenti entro il 2023, l’indicazione degli obiettivi di apprendimento entro il 2025, e dall’anno scolastico 2025/2026 l’introduzione del coding.

Non va meglio nelle scuole superiori, dove la categoria docenti è ancora legata a una formazione troppo tradizione, ovverosia il docente entra in aula e fa lezione alla sua classe. Ancora oggi, molti ragazzi che entrano nelle università hanno uno scarso livello di alfabetizzazione informatica. L’utilizzo degli strumenti digitali, che dovrebbe essere per i ragazzi un elemento naturale nel loro percorso di studi, è ancora troppo basso, e dunque non diventano dei naturali strumenti di apprendimento. In più non ci sono disponibilità di budget per aumentare la presenza di attrezzature hardware.

Anche gli atenei, dove la trasformazione digitale dell’esperienza educativa è ritenuta sì un obiettivo strategico in molti casi, mostrano un andamento degli investimenti in soluzioni tecnologiche che rimane modesto.

Tante iniziative per ridurre il digital gap

Da qualche anno a questa parte, stanno nascendo diverse iniziative di formazione digitale che puntano a colmare il digital mismatch. Iniziative lodevoli, che vanno ad affiancare le iniziative del Governo Draghi, che aveva previsto il Servizio civile digitale per aiutare i più fragili e i Centri di facilitazione digitale per insegnare a tutti come fruire di servizi online.

Ci sono, inoltre, altre iniziative, alcune delle quali affidate all’Anpal:

  • il piano di formazione e inserimento al lavoro destinato esclusivamente ai Neet, e cioè a coloro che non lavorano e non studiano, per i quali una delle misure più usate è Garanzia Giovani;
  • il programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), un percorso di accompagnamento al reinserimento di persone uscite dal mondo del lavoro;
  • il Fondo Nuove Competenze, che permette alle imprese di adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell’orario alla formazione, con una copertura a carico del Fondo delle ore di stipendio del personale in formazione.

Il ruolo del Fondo per la Repubblica Digitale

Per accompagnare l’Italia verso la transizione digitale, ispirandosi all’innovativa e positiva esperienza di partnership tra pubblico e privato sociale del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, è nato il Fondo per la Repubblica Digitale, istituito con il decreto-legge n. 152/2021.

Si tratta di una partnership tra pubblico e privato sociale (Governo e Associazione di Fondazioni e di Casse di risparmio – Acri), che si muove nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal PNRR, che può rappresentare la scommessa più vincente nel panorama attuale.

Il Fondo ha raccolto 321 proposte arrivate in risposta ai primi due bandi, Futura e Onlife, dedicati alle giovani donne e ai Neet per un totale di circa 13 milioni di euro. Tra tutte le proposte sono 23 i progetti selezionati, che permetteranno a poco meno di 5 mila persone di partecipare gratuitamente ai corsi di formazione. Dei 23 progetti selezionati, 12 sono risultati idonei per il bando Onlife e 11 per Futura. In totale sono 8 le iniziative di carattere nazionale. Se al Nord e Centro le iniziative in partenza sono in tutto 6, al Sud e Isole saranno in totale 9.

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Nel complesso sono 193 gli attori coinvolti tra enti del terzo settore, soggetti pubblici, università, imprese, enti di formazione, ITS (Istituti Tecnici Superiori), agenzie per il lavoro e soggetti che hanno un forte radicamento sul territorio di intervento. Innovativa, a tal proposito, la partnership tra soggetti for profit e no profit.

Si tratta di un’iniziativa importante e ambiziosa. I successivi bandi verranno pubblicati nel corso del 2023, anno per il quale sono già previsti 85 milioni circa di finanziamenti.

Digital Mismatch: colmarlo col dialogo fra la scuola e le imprese

Formazione digitale, l’importanza di valutare l’impatto

La gestione di politiche formative efficaci passa anche attraverso la messa in campo di pratiche valutative che ne evidenzino i punti di forza e di debolezza. In pratica, si tratta di puntare solo sui progetti più promettenti.

Consapevole di ciò, una novità importante del Fondo Repubblica Digitale è che per attivare progetti con reale impatto sull’occupazione, parte del finanziamento verrà erogato solo quando i corsi di formazione si tradurranno in contratti di lavoro. Si tratta del principio pay for performance, ovvero che una percentuale del contributo (il 20% per Onlife e il 15% per Futura) verrà erogata in base ai risultati raggiunti, secondo alcuni set di indicatori analizzati sia in termini di risultati (output), che fanno riferimento alla misurazione dei prodotti realizzati e dei servizi erogati dal progetto, che in termini di esiti, che fanno riferimento ai cambiamenti generati dal progetto sui destinatari diretti degli interventi.

Un secondo elemento che sarà valutato è la scalabilità, ovvero la possibilità di essere replicati su scala maggiore. “Dobbiamo immaginare un percorso – ha precisato Giovanni Fosti, Presidente del Fondo Repubblica Digitale – per cui alcuni progetti selezionati, dopo aver dimostrato la loro qualità e il loro impatto, verranno ri-sperimentati su numeri più grandi e, quindi, proposti come policy”.

A questo punto, se l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare nel 2026 a consegnare ai policy maker una rosa di progettualità che possano permetterci, come Paese, di fare il salto sull’indice DESI per le competenze digitali, allora diventa fondamentale che la governance del Fondo (il Comitato scientifico indipendente – supportato dall’Evalutaion Lab) porti avanti, in modo rigoroso e preciso, le attività di rilevazione e analisi necessarie per capire quali e quanti miglioramenti nei profili di occupabilità dei beneficiari e scalabilità saranno attribuibili ai progetti formativi finanziati.

È importante che queste attività di analisi siano trasparenti e rese pubbliche, non fosse altro che i progetti finanziati, una volta valutati positivamente, avranno un coefficiente premiale per la partecipazione a bandi successivi. In sostanza chi ha perfomato bene (non semplicemente chi è stato selezionato all’inizio) in base alla valutazione del comitato di valutazione, avrà un accesso privilegiato ai successivi bandi del Fondo.

Il tema della valutazione d’efficacia dei programmi è stato ben messo in luce da Raffaella Sadun, Presidente del Comitato Scientifico Indipendente del Fondo, nel suo articolo su Agenda Digitale.

Conclusioni

Il PNRR stanzia finanziamenti ingenti per la digitalizzazione dell’Italia. Ma nessuna trasformazione può essere efficace ed equa se non si concentra sulle persone. Insieme alle infrastrutture digitali è necessario, perciò, investire sulle competenze digitali dei cittadini, per non correre il rischio di creare nuove disuguaglianze.

Il Governo ha deciso di stanziare ingenti risorse dedicati alle competenze digitali. Ma i rapidi mutamenti nel contesto economico-sociale rendono velocemente obsoleti modelli formativi ampiamente sperimentati. Occorre dunque che i sistemi istituzionali siano disegnati in modo da favorire l’adattabilità dell’offerta formativa ed essere in grado di individuare le risposte più efficaci e più innovative, favorendo altresì il trasferimento dei casi di successo ad altri ambiti di applicazione, territoriali o tematici.

A questo scopo un sistema sofisticato di monitoraggio e valutazione non serve solo per amministrare l’assegnazione dei fondi e il funzionamento dei progetti finanziati, ma diviene uno strumento operativo essenziale al servizio dell’individuazione delle priorità indicate dal contesto e per il loro governo, anche in un’ottica sussidiaria e di equa distribuzione territoriale.

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