In un’epoca in cui l’informazione corre più veloce della verifica, la domanda che ci si pone è semplice quanto inquietante: possiamo ancora fidarci di ciò che vediamo e leggiamo? La risposta, purtroppo, è sempre più spesso negativa.
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La disinformazione come fenomeno antico e mutevole
L’avvento dei social media e dell’intelligenza artificiale generativa ha inaugurato una stagione in cui la verità è diventata un bene fragile, esposto a manipolazioni tanto sofisticate quanto pervasive.
Non è un fenomeno nuovo, certo. La storia è costellata di falsificazioni che hanno alterato il corso degli eventi. Basti pensare alla Donazione di Costantino, smascherata da Lorenzo Valla nel XV secolo, o ai Protocolli dei Savi di Sion, la più devastante fake news del Novecento. Ma ciò che cambia oggi è la scala, la velocità e la sofisticazione con cui la disinformazione si diffonde.
Dalla stampa alla rete: una lunga genealogia della menzogna
La stampa a caratteri mobili di Gutenberg rese possibile la diffusione di idee, vere o false, su larga scala. Ma è con l’avvento dei social network che la disinformazione ha trovato il suo habitat ideale. Facebook, X, TikTok: piattaforme nate per connettere, oggi spesso usate per dividere. E se un tempo servivano giorni per far circolare un libello, oggi bastano pochi secondi per far esplodere una bufala virale.
La tecnologia deepfake, nata nel 2017, ha reso possibile creare video e immagini in cui la realtà è simulata con tale verosimiglianza da ingannare anche l’occhio più esperto. Il caso del finto video di Zelensky che invita alla resa, o l’immagine del Papa in piumino bianco, sono solo la punta dell’iceberg.
Più inquietante ancora è l’uso sistematico di queste tecnologie da parte di attori statali o gruppi organizzati per influenzare elezioni, destabilizzare governi, manipolare l’opinione pubblica.
La lunga storia della disinformazione: cronologia dei falsi celebri
- VIII secolo: Donazione di Costantino, un documento papale completamente falso che conferisce poteri imperiali al Papa, viene redatto (ca. 750 d.C.). Per secoli influenzerà i rapporti tra Papato e imperi cristiani, finché nel 1440 sarà smascherato come forgimento medievale.
- 1440: Invenzione della stampa a caratteri mobili (Johannes Gutenberg). La riproducibilità dei testi esplode: la diffusione di idee – vere o false – diventa più rapida. Già dal ‘500 circolano pasquinate e libelli anonimi diffamatori grazie alla stampa.
- 1835: Great Moon Hoax – Il giornale New York Sun pubblica una serie di articoli falsi sulle scoperte lunari dell’astronomo Herschel (vita sulla Luna con creature fantastiche). È una delle prime bufale mediatiche di massa, possibile grazie alla stampa popolare economica (penny press, di cui facevano parte i famosissimi penny dreadful).
- 1903: Protocolli dei Savi di Sion pubblicati in Russia. Pamphlet complottista antisemita completamente inventato, destinato a diventare la fake news più devastante del XX secolo. Tradotto globalmente, alimenterà persecuzioni contro gli ebrei fino al periodo nazista, nonostante le ripetute prove della sua falsità.
- 1924: Lettera di Zinoviev – Vigilia elezioni UK: il Daily Mail pubblica una lettera (poi provata falsa) attribuita a un leader sovietico che incita alla rivoluzione comunista in Gran Bretagna. Esempio di disinformazione elettorale che sfrutta i media dell’epoca per influenzare l’opinione pubblica.
- 1983: Diari di Hitler – Clamorosa truffa editoriale: la rivista Stern presenta presunti diari di Adolf Hitler, in realtà creati da un falsario. Il caso, presto smascherato, diventa un monito sull’importanza della verifica delle fonti anche per organi di stampa autorevoli.
- anni 1990: Avvento di Internet. Nascono forum, blog, email chain: nuove vie per bufale e leggende metropolitane (dalle truffe “Nigerian scam” alle false notizie che circolano via email). Iniziano i primi studi sul fenomeno della misinformazione online.
- 2004–2006: Nascita dei social network (Facebook, Twitter, YouTube). L’informazione diventa social: ogni utente può creare e condividere notizie. Emergenza di camere dell’eco e diffusione virale di contenuti senza fact-checking.
- 2016: “Post-verità” e boom del termine fake news. Durante il referendum Brexit e le elezioni USA, l’attenzione globale si concentra sull’impatto delle fake news diffuse via social (es. caso Pizzagate, bufale sui candidati, interferenze su Facebook). Post-truth diventa parola dell’anno per l’Oxford Dictionary. Vengono lanciate iniziative di fact-checking su larga scala.
- 2017: Deepfake – Su Reddit appare per la prima volta il termine, quando un utente condivide video pornografici con volti di celebrità ottenuti tramite algoritmi di deep learning. Iniziano a diffondersi strumenti open source per creare video falsi, ponendo nuove sfide di verifica visiva.
- 2020: Pandemia COVID-19 e “infodemia”. Misinformation medica dilaga sui social: cure miracolose false, teorie complottiste sull’origine del virus, movimenti No-vax alimentati da notizie distorte. OMS e governi avvertono che la disinformazione sanitaria costa vite umane. Parallelamente, debutta GPT-3 di OpenAI, modello di linguaggio in grado di generare testi sorprendentemente coerenti – potenzialmente sfruttabile anche per creare contenuti fake.
- 2022: La guerra in Ucraina e i deepfake politici. Circola il video deepfake di Zelensky che “si arrende”. Sulle piattaforme social aumentano bot e account falsi per propaganda bellica. A fine anno OpenAI rilascia ChatGPT, portando la AI generativa di testo al grande pubblico. Nascono decine di servizi basati su AI per generare immagini (DALL-E 2, Midjourney), video (il primo deepfake live di alta qualità) e audio (clonazione vocale).
- 2023: IA per tutti, disinformazione per tutti? Viralizzano immagini AI come il “Papa col piumino” e un falso arresto di Donald Trump. Su Twitter una finta immagine di esplosione al Pentagono causa panico per qualche minuto. L’ONU lancia l’allarme: “misinformation e disinformation stanno già minacciando democrazia e diritti umani”. Vengono proposti regolamenti e tool di autenticazione (es. watermark digitali per contenuti generati).
Questa timeline mostra come la disinformazione non sia affatto un fenomeno nuovo, ma anche come le armi a disposizione di chi crea falsi si siano evolute drasticamente. Siamo passati dai falsi documenti cartacei diffusi lentamente nel Medioevo, alle notizie fake sulla stampa di massa dell’Ottocento, fino alla tempesta perfetta dell’era social+IA, in cui ogni utente con uno smartphone può potenzialmente alterare la realtà percepita da milioni di persone.
Differenza tra misinformation e disinformation: il peso dell’intenzione
È fondamentale distinguere tra misinformation – l’errore in buona fede – e disinformation, la menzogna deliberata. La prima può essere corretta, la seconda è progettata per ingannare.
E se un tempo la disinformazione richiedeva risorse e competenze, oggi basta un software e un po’ di malizia. L’intelligenza artificiale, se usata senza etica, può diventare un’arma di propaganda di massa.
La minaccia della disinformazione alla democrazia
Il rischio non è solo teorico. La disinformazione mina le fondamenta stesse della democrazia, che si regge su un presupposto: cittadini informati che decidono sulla base dei fatti.
Se il flusso informativo è avvelenato, anche la volontà popolare può essere falsata. Non a caso, i regimi autoritari investono massicciamente in campagne di disinformazione online: destabilizzare le democrazie dall’interno è diventata una strategia di guerra non convenzionale.
Come rispondere alla disinformazione nell’era digitale
La tentazione di rispondere con la censura è forte, ma pericolosa. Chi decide cosa è vero e cosa è falso? Il rischio di derive autoritarie è reale.
La risposta, allora, deve essere più complessa: educazione, alfabetizzazione digitale, strumenti di verifica, trasparenza algoritmica. E soprattutto, una cittadinanza vigile, capace di esercitare il dubbio e la verifica. Ma un dato è certo, se ci fosse un’identificazione degli utenti (come già accade per le SIM della telefonia mobile) e se i prodotti realizzati con l’IA avessero un “bollino” (come accade per i prodotti televisivi, cinematografici ed i giochi digitali) ci sarebbero meno falsità, perché gli utenti avrebbero la percezione e perché il Digital Service Act consentirebbe di sanzionarle.
Intelligenza artificiale e leggi inadeguate: il caso italiano
Come abbiamo evidenziato la tecnologia digitale ha amplificato la portata delle bugie. I social network, con la loro struttura virale, e gli strumenti di AI generativa formano insieme una fabbrica di disinformazione potenzialmente formidabile.
Da un lato, piattaforme come Facebook, X, YouTube o TikTok permettono a chiunque di pubblicare contenuti che possono raggiungere in breve tempo milioni di persone, senza passare attraverso filtri editoriali. Dall’altro, le moderne AI possono generare automaticamente testi, immagini, video e audio su qualunque argomento in pochi secondi, abbattendo i costi e i tempi per produrre contenuti falsi in grandi quantità. L’intersezione di queste due forze crea uno scenario inedito: una disinformazione amplificata dall’AI, in cui attori malevoli (stati, gruppi estremisti, truffatori, ecc.) possono sfornare e diffondere falsità su scala industriale.
In questo scenario si, già complesso, si introduce la regolamentazione dell’intelligenza artificiale ed il dibattito italiano sul disegno di legge in materia si sta rivelando, secondo alcuni osservatori, un esempio emblematico di confusione normativa. Come ha osservato Claudia Morelli in un recente intervento, le audizioni parlamentari sembrano più una passerella che un confronto strutturato, mentre il testo del Ddl appare prematuro rispetto alla definizione del quadro europeo delineato dall’AI Act.
Il rischio, sottolineato da più voci, è quello di costruire una regolamentazione speciale e frammentaria, come se l’IA fosse un’entità aliena, anziché una tecnologia – pur sofisticata – da inquadrare nel perimetro delle norme esistenti. Invece di agire con il bisturi, individuando con precisione le aree normative da integrare, si moltiplicano richiami ridondanti e omissioni che generano più confusione che chiarezza.
Il vero nodo, però, resta la mancanza di una visione sistemica: senza alfabetizzazione digitale diffusa, formazione per giuristi e amministratori, e una cooperazione internazionale coerente, ogni tentativo di regolamentazione rischia di essere inefficace, se non dannoso. E, come spesso accade, la politica sembra parlare di ciò che non conosce, con il rischio di scrivere norme per problemi che nessuno percepisce, lasciando irrisolti quelli reali.
Difendere la verità è un dovere collettivo
La verità, oggi, è sotto assedio. Ma non è perduta. La storia ci insegna che ogni epoca ha conosciuto le sue menzogne, e che ogni menzogna, prima o poi, è stata smascherata. Sta a noi – cittadini, giornalisti, studiosi – difendere la verità con gli strumenti della ragione, della conoscenza e della responsabilità. Perché senza verità, non c’è libertà. E senza libertà, non c’è democrazia.