Di cosa si parla quando si parla di etica dell’intelligenza artificiale?
Bisogna partire dal fatto che l’intelligenza artificiale in quanto tale, in quanto algoritmi che governano dei dati, non ha etica non avendo volontà (la volontà viene da chi programma gli algoritmi).
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Etica dell’AI: che vuol dire?
Dunque, pretendere di inserire dell’etica negli algoritmi non è molto diverso dal voler insegnare i dieci comandamenti a una sveglia o a un girarrosto.
Si danno indubbiamente delle indicazioni, ma non si forma una coscienza, semplicemente una coscienza umana cerca di ridurre i rischi connessi al funzionamento di una macchina, un po’ come quando si è deciso di rendere pieghevole il simbolo sul cofano delle Mercedes-Benz, per ridurne l’impatto in caso di incidente.
C’è poi da considerare che i principi etici non sono universali. Se c’è qualcosa che abbiamo riconosciuto dolorosamente negli ultimi due secoli, e che invalida tutte le morali universalistiche, dall’imperativo categorico di Kant in giù, è che i princìpi etici variano nel tempo, nello spazio e negli individui. Talvolta questi ultimi sono abbastanza saggi da riconoscerlo, e da non imporre, per esempio, il battesimo a un islamico in nome della nostra idea di salvezza ultramondana.
Ma una macchina ne sarà capace? Essere una macchina ed essere portatrice di etica è una contraddizione in termini, visto che la macchina è priva di volontà, come ho lungamente illustrato in un libro che esce in questi giorni, La pelle. Che cosa significa pensare al tempo della intelligenza artificiale, il Mulino 2025.
Tanto è vero che per spiegare (per fortuna non per giustificare) un femminicida o un membro delle Waffen-SS si dice che agiva come una macchina.
Le due opzioni
In altri termini, o si accolgono tutti i princìpi etici di ogni tempo, luogo e individuo, all’interno di una macchina, e con questo si annulla ogni etica, perché si mettono insieme migliaia di opzioni mutuamente esclusive, o non se ne mette alcuna.
Ed è questa seconda l’opzione che mi sembra ampiamente più saggia. Se poi per “etica dell’intelligenza artificiale” si intende che se si chiede a una chatbox qual è il sistema più efficace di suicidio questa ci risponde che non è autorizzata a fornirci questa informazione, bene, non è diverso dall’istruzione “non tenere alla portata dei bambini” scritto sulla boccetta di un medicinale.
È etica? Se vogliamo pretendere che ci può essere etica senza coscienza e senza soggettività, bene, possiamo farlo. Ma allora tanto varrebbe sostenere che un orso di pezza può provare teneri sentimenti per il bambino a cui appartiene.
AI, i principali nodi etici da affrontare
Alla luce di quanto detto sin qui, rispetto all’intelligenza artificiale non ci sono nodi etici, ma solo politici ed economici. In particolare, il problema su cui ho insistito e continuo a insistere del come ridistribuire equamente all’umanità l’enorme valore che l’umanità stessa produce sul web.
Un problema che, si noti bene, non ha niente a che fare con l’infusione dell’etica nelle macchine, ma sull’adozione di scelte politiche da parte degli umani.
Quanto all’etica, lasciamola agli umani, e cerchiamo di capire che cos’è davvero. In questo momento, il navigatore del taxi in cui sto scrivendo sta informando l’autista del fatto che ci sono controlli di polizia a poca distanza.
Significa che la macchina è etica e che ha interiorizzato i princìpi del codice della strada? Se proprio ci teniamo, nessuno può impedirci di sostenerlo, ma, più che di etica, si tratterebbe di animismo (attribuiamo a una AI una responsabilità etica) e di ipocrisia (non c’è niente di morale nell’evitare, su indicazione della macchina, delle sanzioni, la moralità consisterebbe nel rispettare la legge senza controlli o aiuti esterni).
La nostra epoca, che si pretende secolarizzata e magari al di là del bene e del male, è semplicemente sdolcinata, e adora rimettere ogni responsabilità alla decisione di comitati etici e di guide morali, e alla bisogna possono andar bene anche i filosofi, che è tutto dire. Ma per capire quanto fuorviante sia questa ubriacatura etica è sufficiente cambiare parola, abbandonare il nome che chissà perché appare altisonante di “etica” a favore del più ordinario “morale”. Troveremo che avere a che fare con una macchina morale, o che ci fa la morale, è una gran noia, e che la nostra reazione più plausibile consisterebbe nel proporle di farsi i fatti suoi.
Futuro del lavoro con l’AI
È evidente che il lavoro va ripensato in maniera radicale. Rimarranno soltanto gli spazzini, i cuochi a quattro stelle, i calciatori, forse le pornostar, molto probabilmente i Papi, i Re, e i dittatori.
Ciò per ragioni differenti: gli spazzini e i cuochi hanno bisogno di discernimento e di manualità fine, non ci piacerebbe (probabilmente) una partita di calcio o una scena di sesso giocata da automi, il Papa deve essere scelto dallo Spirito Santo e non dall’Intelligenza artificiale, nonché essere anatomicamente maschio, il Re è tale per ragioni di sangue e l’AI non ne ha, e i dittatori non accetteranno mai di cedere il loro potere a una macchina.
Ecco perché si tratta di ripensare il futuro del lavoro non tanto inventandosi nuovi mestieri (ce ne saranno, ma non tanti) bensì riconcettualizzando il lavoro, e ponendo sotto questo titolo ogni forma di produzione di valore.
Non si produce valore solo consumando calorie, e non si consumano calorie solo producendo o distribuendo merci. Si produce valore sia producendo sia consumando, perché si è degli organismi viventi inseriti sin dall’origine in un sistema tecnico e spirituale, cioè perché si è degli esseri umani.
Quanto alla domanda “chi paga” per degli umani che producono valore consumando e non producendo, rispondo tra poco.
Sarà un futuro da consumatori
Baudelaire diceva giustamente che lavorare è pur sempre meglio che divertirsi. Intendeva con questo che l’inoperosità o la monotonia del divertimento è molto più noiosa che una carica di cavalleria o di un intervento a cuore aperto. Ma chi ha detto che il consumo deve essere noioso?
Oltre che produttore di libri, di lezioni e di processi burocratici, in vita mia sono stato un grande consumatore di libri, e mi sono trovato benissimo. In generale, poi, è difficile sostenere che la vita di un professore o di un artista sia davvero noiosa (può esserlo, ma è solo colpa sua), così come non è noioso – necessariamente – conversare con gli amici, innamorarsi, sposarsi o divorziare.
Non è nemmeno noioso tenere discorsi politici o prendere delle deliberazioni in un consiglio. I senatori romani o i Pari di Inghilterra non hanno mai fatto altro, e non si sono annoiati. Nel momento in cui la produzione sarà sempre più automatizzata, resterà sempre il consumo, che è la manifestazione del bisogno, del desiderio, della volontà e della ragione. Se poi ci si convince che invece zappare la terra o avvitare bulloni in una catena di montaggio ci mancheranno, ebbene, non è vietato fabbricare una Disneyland con tutti i mestieri di una volta, compreso il becchino e il pulitore di fogne, per i nostalgici dei bei lavori di una volta.
Webfare
Anche qui, il problema non è lasciarsi andare alla nostalgia o alla distopia, ma piuttosto capire come mantenere una umanità che ha smesso di lavorare. Ma se, come propongo da tempo, si prende la via del Webfare, ossia si capitalizza la mobilitazione (il consumo) dell’umanità online, come fanno le piattaforme liberiste americane e le piattaforme bolsceviche cinesi, ridistribuendo all’umanità la ricchezza che essa stessa produce (cosa che non fanno le piattaforme liberiste) e lasciandola libera di vivere come vuole (cosa che non fanno le piattaforme bolsceviche), il problema è risolto con soddisfazione di tutti.
Compresa la buonanima di Marx, che nella Ideologia tedesca diceva che in una umanità liberata ognuno avrebbe fatto quello che voleva, così, a suo gusto, invece che essere crocifissa a un solo posto e a un solo ruolo come impone l’alienazione della società borghese e industriale, costretta a giocare una sola parte in commedia, e oltretutto faticosa e noiosa, cioè la produzione.