Chiediamo all’intelligenza artificiale di essere chiara, pertinente, coerente, aggiornata, esaustiva. Ma quante volte pretendiamo tutto questo da noi stessi nelle nostre relazioni interpersonali, anche in contesti digitali o ibridi?
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Prompting e consapevolezza nel dialogo umano
Nell’interagire con l’Intelligenza Artificiale Generativa, ci siamo trovati costretti – forse per la prima volta da molto tempo – a riflettere sul modo in cui formuliamo le nostre richieste, sul linguaggio che scegliamo, sul tono che adottiamo. È emersa così una nuova disciplina, il cosiddetto “prompt engineering“: una pratica che, al di là del tecnicismo apparente, si fonda su principi antichi e profondamente umani.
Abbiamo difatti imparato – per ottenere buoni risultati dalle IA – a essere chiari, contestuali, intenzionali. Ma qui si apre un paradosso che merita attenzione, e forse anche una certa inquietudine: ci stiamo abituando a comunicare meglio con le macchine che con le persone.
È proprio da questa osservazione che nasce la riflessione che desidero condividere. Se siamo riusciti a codificare delle buone pratiche per dialogare con un modello generativo – un’entità priva di coscienza, ma potentemente linguistica – non potremmo, o meglio, non dovremmo, fare altrettanto nei nostri dialoghi tra esseri umani? Forse, e qui il paradosso si ribalta in opportunità, sarà proprio l’IA ad aiutarci a tornare più umani: se fosse proprio il modo in cui interagiamo con le IA a restituirci una grammatica del dialogo che, da tempo, abbiamo disimparato?
Le tecniche del prompting come regole relazionali
Nel prompt engineering si usano tecniche come, ad esempio, il Chain of Thought (esplicitare il ragionamento passo per passo), il Persona Prompting (definire il tono, il ruolo, il punto di vista dell’interlocutore), il Few-shot prompting (fornire esempi per orientare la comprensione), i Clarification prompts (chiedere precisazioni, chiarimenti e riscritture).
Tutti questi accorgimenti non sono invenzioni artificiali: sono, semmai, formalizzazioni di dinamiche comunicative che abbiamo da tempo interiorizzato – anche se spesso, nella vita quotidiana, ce ne dimentichiamo. È interessante notare come, per interagire efficacemente con un’”intelligenza non umana”, siamo tornati a praticare quelle che potremmo definire buone regole del dialogo: pensare prima di comunicare, strutturare il ragionamento, adattare il messaggio a chi abbiamo di fronte.
Con le persone invece, purtroppo, tendiamo a dare tutto questo per scontato. Ci esprimiamo “a braccio”, per automatismi, a volte per stanchezza o fretta. Ma con una IA ci sentiamo obbligati a essere chiari, cortesi, precisi. Questo ribaltamento ha del curioso, e forse anche del rivelatorio: la macchina ci educa, in modo implicito, a una comunicazione più consapevole.
Lezioni nascoste per migliorare i rapporti interpersonali
Molti osservatori hanno notato come, dopo la pandemia, le relazioni umane abbiano sofferto un indebolimento diffuso. Le interazioni sono diventate più frammentarie, mediate da schermi, spesso cariche di incomprensioni, distanti – in tutti i sensi. Eppure, proprio in questo scenario, abbiamo iniziato ad allenarci – con sorprendente rigore – a dialogare meglio con le IA.
Il prompting ci ricorda alcune verità semplici, ma fondamentali:
- ogni dialogo efficace nasce dalla chiarezza, non dalla semplificazione;
- fornire un contesto non è una perdita di tempo, ma un atto di rispetto;
- adattare il linguaggio all’interlocutore non è manipolazione, ma empatia;
- chiedere chiarimenti è segno di attenzione, non di ignoranza.
Sono principi che, da tempo, esploro nel mio lavoro sulla centralità della persona nei processi comunicativi e decisionali, e che ho raccolto anche nel volume La prospettiva degli stakeholder (Edizioni FrancoAngeli). Lì, come qui, la comunicazione non è solo trasmissione d’informazioni, ma relazione, responsabilità, riconoscimento reciproco.
Una comunicazione autenticamente umana non è fatta solo di contenuti, ma di intenzioni e di relazione. E questo, paradossalmente, è ciò che ci sta insegnando anche l’interazione con l’IA: che il modo in cui ci poniamo – nella forma, nel tono, nell’ordine – fa la differenza.
Verso una nuova alfabetizzazione della comunicazione umana
Parliamo molto oggi – giustamente – di “alfabetizzazione all’IA”, ma forse ci serve anche – e con urgenza – una ri-alfabetizzazione alla comunicazione umana. Il dialogo, come ogni competenza, si allena. E il prompting, con i suoi schemi e le sue tecniche, può offrirci una palestra inaspettata.
Pensiamo al chain of thought: una forma esplicita di ragionamento, utile non solo per un modello linguistico, ma per qualsiasi essere umano che voglia comprendere – davvero – un pensiero complesso. Pensiamo al persona prompting: la capacità di riconoscere in chi ci ascolta un ruolo, una sensibilità, una prospettiva, un punto di vista. O ancora ai clarification prompts: la semplice ma rivoluzionaria abitudine di chiedere conferma, di non dare sempre tutto per scontato.
Tutte queste tecniche, nel prompting, servono a ottenere una risposta più appropriata e di qualità migliore. Nelle relazioni umane, servono a costruire fiducia. Non è forse questa, in fondo, la funzione più nobile della comunicazione?
L’IA come soggetto della comunicazione relazionale
Da questa prospettiva, l’IA smette di essere un semplice strumento. Diventa, se non proprio un interlocutore in senso pieno, almeno un soggetto relazionale. Ed è per questo che ho proposto, in un recente contributo (PM World Journal, 2024), l’introduzione del concetto di AI-Stakeholder.
Nel project management, uno stakeholder è chiunque abbia interesse in un progetto, possa influenzarlo, o esserne influenzato, o ritenere di esserne influenzato. Se un sistema generativo partecipa ai processi decisionali, suggerisce azioni, orienta valutazioni, non possiamo più considerarlo “neutrale”: questo non significa attribuirgli coscienza o intenzionalità, ma riconoscere che esiste un livello di interazione in cui anche la macchina entra nella nostra rete delle relazioni. E, come con ogni stakeholder, la relazione merita di essere gestita con consapevolezza e con cura, attraverso, ad esempio, regole chiare, linguaggi coerenti, esplicitazione di obiettivi e valori condivisi.
Verso una comunicazione più umana con l’IA
Stiamo imparando a comunicare meglio con le IA. Ora dobbiamo – o possiamo – tornare a comunicare meglio tra di noi. Le tecniche nate per addestrare modelli linguistici possono diventare strumenti per riattivare la qualità del dialogo umano.
Non è questione di nostalgia, ma di cura e di attenzione. Il linguaggio non è solo codice: è relazione, etica, responsabilità. L’intelligenza artificiale, da oggetto di fascinazione e strumento di utilità, può in questo caso trasformarsi in alleata. Ma solo se sapremo ascoltare quello che – senza saperlo – ci sta insegnando.
Forse il futuro della comunicazione non sarà solo “digitale”, ma finalmente più umano. E se così sarà, paradossalmente, lo dovremo anche all’IA.
Questa riflessione comunque non si esaurisce qui: sono in corso approfondimenti.