OpenAI non è più solo la creatura che ha portato al mondo ChatGPT.
È diventata il simbolo vivente di una frattura: quella tra missione pubblica e pressione del capitale privato.
La conferma arriva questo mese, quando l’azienda ha annunciato una nuova struttura: la conversione della sua divisione commerciale in una Public Benefit Corporation (PBC).
Questo cambiamento consente agli investitori di ottenere ritorni illimitati, pur mantenendo l’obbligo di considerare l’impatto sociale nelle decisioni aziendali. Finora invece c’è stato un limite (cap) ai profitti.
Come siamo arrivati a questo punto?
Indice degli argomenti
OpenAI, struttura non profit
Fondata come organizzazione no-profit nel 2015 con l’obiettivo dichiarato di sviluppare l’AGI, l’intelligenza artificiale generale, a beneficio dell’umanità, OpenAI è oggi una delle startup tecnologiche più finanziate della storia, valutata oltre 260 miliardi di dollari.
Al centro del suo destino ci sono almeno tre questioni: il rapporto con Microsoft, la possibilità di una futura quotazione in Borsa e la legittimità, anche politica, della sua trasformazione societaria.
OpenAI for profit: origine del conflitto, tra dono e profitto
Nel 2019, per attrarre capitali esterni, OpenAI ha creato una controllata “for-profit con tetto ai profitti”, assicurando agli investitori che la priorità sarebbe rimasta la missione sociale.
Ma oggi è chiaro che questa promessa è stata superata dalla realtà. Gli ultimi round di finanziamento, 6,6 miliardi a ottobre, altri 40 miliardi a marzo, sono compatibili solo con una trasformazione più radicale del modello. OpenAI stava infatti provando trasformare la propria struttura, del tutto, in una società for profit.
A maggio ha rinunciato a questa conversione, per questioni legali, mantenendo una governance legata alla realtà non profit.
Ma non del tutto.
La nuova formula prevista è quella di una Public Benefit Corporation (PBC): una società for-profit che include obiettivi sociali nel proprio statuto. Una via intermedia tra profitto e filantropia, adottata anche da Anthropic e xAI. Ma in OpenAI, questa trasformazione si accompagna a una rinegoziazione critica con Microsoft.
Microsoft, investitore strategico o ostacolo?
Microsoft ha già investito oltre 13 miliardi di dollari in OpenAI. In cambio ha ottenuto licenze, integrazioni nei propri prodotti (Copilot, Bing, Office) e diritti sull’intelligenza proprietaria dell’azienda. Tuttavia, il contratto attuale scade nel 2030 e OpenAI vuole rinegoziarlo. In gioco c’è l’accesso di Microsoft alle future tecnologie sviluppate oltre quella data. Fonti vicine ai negoziati parlano di attriti crescenti: OpenAI vuole autonomia, Microsoft vuole garanzie.
L’azienda di Redmond sarebbe disposta a rinunciare a una parte della propria equity in cambio di accesso preferenziale all’innovazione futura. Ma lo stile di OpenAI, sempre più orientato al controllo e all’espansione diretta, rischia di incrinare i rapporti.
Struttura di OpenAI: governance in bilico tra controllo e accountability
Il cuore del problema è politico prima che finanziario: chi controlla davvero OpenAI? L’azienda ha recentemente fatto marcia indietro su un piano che avrebbe spogliato il consiglio no-profit del potere di veto. Ha promesso che quest’ultimo manterrà il controllo strategico attraverso nomine e quote significative nella nuova entità PBC.
Tuttavia, il gruppo “Not For Private Gain”, composto da ex dipendenti e esperti di IA, ha espresso preoccupazioni sul fatto che la nuova struttura possa indebolire il controllo del consiglio no-profit, riducendo la capacità di garantire che lo sviluppo dell’IA rimanga orientato al bene pubblico.
Il ruolo di Musk
Il sospetto, alimentato anche da Elon Musk, oggi in causa contro l’organizzazione, è che la missione originaria sia ormai subordinata agli interessi degli investitori. L’avvocato di Musk ha dichiarato che “la charity sta trasferendo le sue risorse a soggetti privati per fini privati, incluso Sam Altman”.
Le autorità di vigilanza, a cominciare dal procuratore generale del Delaware, stanno esaminando la legittimità del nuovo assetto. Ma anche una bocciatura legale potrebbe arrivare troppo tardi: OpenAI è ormai un attore strategico globale, e le sue decisioni hanno effetti a cascata.
La rimozione del tetto ai profitti nella struttura di OpenAI: una svolta cruciale
Come detto, nel 2019, OpenAI aveva introdotto un modello “for-profit con tetto ai profitti”, limitando i ritorni degli investitori a 100 volte l’investimento iniziale. Questa struttura mirava a bilanciare la necessità di attrarre capitali con l’impegno verso il bene pubblico.
La recente rimozione del tetto ai profitti ha suscitato preoccupazioni tra ex dipendenti e osservatori del settore, che temono una deviazione dalla missione originaria di OpenAI. Il gruppo “Not For Private Gain” ha espresso timori che questa nuova struttura possa indebolire il controllo del consiglio no-profit, riducendo la capacità di garantire che lo sviluppo dell’IA rimanga orientato al bene pubblico .
Questa evoluzione solleva interrogativi più ampi sulla sostenibilità di modelli ibridi che cercano di conciliare obiettivi di profitto con missioni sociali. In un contesto in cui l’intelligenza artificiale sta diventando sempre più centrale per l’economia e la società, il caso OpenAI evidenzia le tensioni tra innovazione, finanziamento e responsabilità etica.
Perché questo caso riguarda tutti: le implicazioni di sistema
OpenAI rappresenta un caso scuola emblematico delle tensioni emergenti nella governance dell’intelligenza artificiale. Anzitutto, sul piano economico, solleva la questione della sostenibilità: è davvero possibile che una tecnologia potenzialmente dirompente e di interesse globale venga sviluppata da un soggetto privato, finanziato da venture capital, senza che si generino conflitti tra obiettivi sociali e aspettative di ritorno economico? A questo si aggiunge la concentrazione di potere: l’accesso all’infrastruttura computazionale e ai modelli più avanzati è oggi limitato a una ristretta élite di aziende.
Se OpenAI dovesse affrancarsi definitivamente da Microsoft e trovare nuovi finanziatori come Oracle o SoftBank, l’equilibrio competitivo del settore potrebbe cambiare drasticamente. C’è poi il problema del rapporto tra controllo pubblico e dominio privato: cosa resta della missione originaria no-profit nel momento in cui la struttura societaria si apre a investitori orientati a un’uscita miliardaria?
E in che modo le istituzioni pubbliche, giuridiche, regolatorie, etiche, possono esercitare un’influenza effettiva in un contesto dove il capitale sembra dettare l’agenda? Infine, occorre considerare l’effetto emulativo: le scelte strategiche di OpenAI avranno un impatto sistemico. Le startup potrebbero adottare in massa il modello della public benefit corporation per attrarre finanziamenti, mentre le big tech potrebbero sfruttare le loro partecipazioni per consolidare il controllo sull’evoluzione regolatoria e tecnologica dell’intero ecosistema.
Ma il gioco vale la candela?
Proprio mentre OpenAI cerca nuovi equilibri societari per attrarre fondi e lanciare una IPO, l’evoluzione tecnica dell’AI generativa potrebbe rimettere tutto in discussione. La nuova frontiera non è solo nei modelli chiusi e centralizzati, ma nei modelli open-source sempre più leggeri, ottimizzati per funzionare in locale, anche su normali CPU.
Architetture come Phi-3, Gemma, LLaMA e varianti indipendenti di Mistral stanno dimostrando che è possibile svincolarsi dal cloud, dalle GPU e dalle logiche monopolistiche. Vale davvero la pena stravolgere una missione pubblica per rincorrere una quotazione, proprio mentre l’AI diventa tecnicamente decentralizzabile, economicamente accessibile, politicamente contendibile? Il caso OpenAI è cruciale non solo per ciò che rappresenta oggi, ma per il tipo di futuro che potrebbe anticipare: uno in cui l’intelligenza artificiale, per quanto trasformativa, rischia di essere governata da logiche finanziarie, mentre i veri punti di rottura si spostano verso nuovi modelli di sviluppo, distribuzione e controllo.