Il nuovo Papa riferendosi alla scelta del nome di Leone XIV, ha detto di averlo scelto “ principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale”.
Oggi dice il Pontefice, ”la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale, e agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.
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Papa Leone XIV, Intelligenza artificiale e corpi intermedi
Ma Leone XIII, affrontando i grandi sconvolgimenti sociale della sua epoca, aveva anche sottolineato, già nella “Quod Apostolici muneris”(1878), l’importanza delle “società artigiane ed operaie”, reiterando tale attenzione anche nella Rerum Novarum verso le “società particolari” e il diritto all’associazione che è naturale per l’uomo.
Infatti, per fare fronte ai “fenomeni avversi” che colpivano la società nel suo passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, nell’ottocento nacquero i cosiddetti “corpi intermedi”, cioè tutte quelle entità (raggruppamenti) interpersonali che, come dice la dottrina della Chiesa, hanno lo scopo di “proteggere e integrare” la persona.[1]
AI e lavoro: lottare per un’economia più giusta
E’ significativo che il Papa, nei suoi primi giorni, colga l’importanza e la minaccia dell’AI, tra i rischi che l’umanità corre, insieme con quello della guerra.
L’AI non rischia di creare disoccupazione di massa, ma di minacciare la dignità del lavoro questo sì. Spingendo le aziende a paragonare umani e macchine, a d esempio, in un confronto ingiusto che degradi paghe e mansioni. In questi giorni Duolinguo , che offre una piattaforma per imparare le lingue, si dichiara azienda “AI First” licenziando quasi tutti i propri collaboratori esterni. Sostituiti con l’AI, che scrive gli esercizi e dialoga con i clienti.
Secondo il World Economic Forum, l’automazione eliminerà 92 milioni di posti ma ne creerà 170 milioni di nuovi: nel medio lungo termine dovrebbe andare bene. Ma solo se la rivoluzione sarà guidata. Necessario anche preoccuparsi degli impatti di breve termine, a differenza di quanto avvenuto nella prima rivoluzione industriale – quella appunto della Rerum Novarum – dove la tecnologia ha contribuito a creare una generazione di miseria.
Lavori meno qualificati
Ad esempio chiediamoci cosa accadrà ai lavoratori meno qualificati, come i magazzinieri. Un esempio recente è l’introduzione da parte di Amazon del robot Vulcan, in grado di affiancare gli umani nei magazzini svolgendo compiti fisicamente impegnativi. L’azienda sottolinea come Vulcan migliori la sicurezza e offra nuove opportunità di formazione, ma è chiaro che non tutti i lavoratori potranno (o vorranno) riqualificarsi come tecnici.
Amazon ha introdotto anche programmi per formare alcuni lavoratori nella manutenzione dei robot, ma non si tratta di una sostituzione diretta dei posti persi.
Il futuro potrebbe includere ruoli come “monitor dell’automazione”, ma è anche possibile che la robotizzazione resti limitata alle grandi aziende, mentre nei settori più diffusi come ristorazione e vendita al dettaglio i lavoratori umani continueranno a essere indispensabili ancora per decenni.
Lavori più qualificati
Gli studi più recenti sull’impatto dell’intelligenza artificiale e dell’automazione sui lavori più qualificati mostrano che questi ruoli non sono immuni ai cambiamenti, ma non scompariranno. Al contrario, verranno trasformati. Contrariamente all’idea diffusa che solo i lavori ripetitivi siano a rischio, la ricerca condotta da istituti come il MIT, McKinsey e il World Economic Forum dimostra che anche compiti di alto livello cognitivo – tipici di professioni come avvocati, medici, ingegneri e consulenti – possono essere parzialmente automatizzati.
L’IA non sostituirà queste figure, ma ne affiancherà il lavoro, assumendosi compiti tecnici, analitici o ripetitivi, mentre la parte decisionale, creativa o relazionale rimarrà umana.
Resta l’incognita di che succederà ai professionisti junior o meno specializzati. Come quelli di Duolinguo, appunto. O i tanti coder che già ora sentono la competizione dell’AI e fanno più fatica a trovare lavoro.
Esseri umani che concorrono con macchine: già questo è sbagliato e degradante. Significa postulare l’equiparazione tra chi ha anima e coscienza e un pugno di algoritmi.
Nella storia è già successo e i luddisti avevano ragione a protestare – come nota il premio nobel Daron Acemoglu.
Adesso i lavoratori non sono soli. Ci sono i corpi intermedi, appunto. Economisti e politici che sanno quale sia la via giusta, umana, al progresso.
E hanno il Papa al loro fianco.
Basterà?
Alessandro Longo
L’importanza dei corpi intermedi
I corpi intermedi erano dunque tutti quei soggetti associativi autorganizzati, che cercavano di integrare e tutelare le persone all’interno delle dinamiche di cambiamento che allora sconvolgevano le società che diventavano moderne.
Sono corpi intermedi i sindacati, le organizzazioni di volontariato, i gruppi di acquisto solidale, le misericordie, le cooperative e le mutue sanitarie, le organizzazioni del terzo settore tutte, le ong, e diverse forme di associazione di rappresentanza come le camere di commercio. Un mondo molto complesso e variegato che oggi in Italia vede partecipare oltre 15 milioni di persone ad attività finalizzata alla creazione di beni sociali.
Nel nostro paese questo fenomeno si sviluppò con forza grazie al mondo cattolico con il “noi tutti”[2] , che è stato utilizzato dalla “dottrina sociale” della Chiesa in relazione al bene comune, allo Stato, alla sussidiarietà, alla partecipazione, all’economia, al mercato,etc.[3]
Ma anche grazie alla cultura della solidarietà e della partecipazione mutualistica di matrice socialista, realizzata dalle cooperative di lavoratori a quelle di consumatori, alle cooperative agricole, alle cooperative di abitanti, e alle mutue sanitarie promosse dai sindacati dei lavoratori.
Nacquero allora tutti quei soggetti associativi che ancora operano autonomamente rispetto allo Stato e ai privati, nel campo educativo, della cura e dell’assistenza alla persona, nella difesa dei lavoratori, nel campo della salute, dei beni primari come quello della casa o dei beni di consumo alimentari e in moltissimi altri campi a supporto dei bisogni delle persone e delle comunità.
La stessa costituzione italiana ne ha successivamente riconosciuto il ruolo.
Sia all’art 2 : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, che all’art 118: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
L’economia sociale per la trasformazione digitale
Nella seconda metà del novecento si è andato poi sviluppando in tutta Europa, uno spazio nell’ economia destinato ad un’economia più attenta ai bisogni non solo materiali delle persone, che è stata definita “economia sociale”.
L’Economia sociale è un’area vasta, un vero e proprio ecosistema, che ha iniziato a raggruppare forme differenti dell’agire economico alternativo , ma con alcuni tratti comuni: la libera e volontaria adesione, la limitazione del profitto individuale, la valorizzazione del fattore umano e l’autonomia e l’indipendenza organizzativa.
Sono organizzazioni e imprese che hanno dimostrato una buona capacità nel colmare le lacune lasciate dallo Stato e dal mercato, e che si sono dimostrate innovative, adattabili e reattive ai bisogni delle comunità.
Negli ultimi decenni però questo vasto e variegato mondo, pur guadagnando un importante spazio nella società e nell’economia con le sue attività, è entrato in una crisi identitaria sotto i colpi della progressiva individualizzazione della società, e della disintermediazione favorita dalle tecnologie digitali. Fenomeni che sono stati cavalcati dai diversi populismi comparsi negli ultimi anni, anche per depotenziare i corpi intermedi, e quindi disintermediare il rapporto con le persone, che si sono trovate sempre più sole, e per questo più fragili, a dover affrontare le trasformazioni in corso.
Oggi dunque, seguendo anche l’aggiornamento della Dottrina Sociale della Chiesa a cui fa riferimento il nuovo Papa Leone XIV, i corpi intermedi e le strutture dell’economia sociale, possono ricoprire un ruolo molto importante nella “trasformazione digitale” della società perché potrebbero dare voce a un nuovo “noi tutti digitale”, nella ridefinizione di senso di queste tecnologie orientandole al soddisfacimento dei bisogni reali delle persone.
Un nuovo ruolo dell’AI per il Papa
Ecco, dunque, che sorge la necessità di immaginare un nuovo tipo di IA rispetto al modello “tecnocapitalista” basato sull’espropriazione dei nostri dati digitali: un’Intelligenza Artificiale, ma con un’“anima” Sociale.
Un’Intelligenza Artificiale che tenga conto, incorporandoli nel proprio “DNA Digitale” cioè, sia nella forma proprietaria dei mezzi tecnici, che nella sua governance, così come negli algoritmi che la animano, i principi dell’“umanità”. E che, sempre secondo le parole di Papa Francesco, «porterà più eguaglianza… favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli»[4].
Se vogliamo orientare le tecnologie del futuro in direzione dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni, dobbiamo però farlo partecipando al cambiamento in maniera critica e attiva, esattamente come hanno fatto nel corso dell’800 e del 900, le persone che hanno dato vita ai corpi intermedi, in risposta ai cambiamenti introdotti allora dalla rivoluzione industriale.
Per fortuna noi oggi, a distanza di oltre centocinquanta anni, possiamo farlo senza bisogno di partire da zero, grazie allo sforzo di chi ci ha preceduto.
I corpi intermedi sono infatti delle reti di senso esistenti all’interno della società, ma che devono però, per essere efficaci di fronte al cambiamento, aprirsi a partire proprio dal loro ruolo di “sensori sociali”, per cercare di intercettare le nuove dinamiche e i nuovi bisogni che nascono con l’uso delle tecnologie digitali.
Questa apertura può partire proprio dall’ utilizzo e dalla condivisione dell’enorme mole di dati, che sono l’”entità fondamentale” senza la quale le IA non possono esistere e funzionare, che provengono dalla loro attività quotidiana in relazione con i loro associati e le loro comunità. Un enorme patrimonio, oggi per la maggior parte inutilizzato, fondamentale per lo sviluppo delle nuove tecnologie e in particolare dell’IA Sociale, e che si può ancora di più ampliare dotando questi soggetti di una politica digitale all’altezza delle sfide.
Basti pensare alla enorme quantità di dati raccolti ogni giorno sulla salute, il lavoro, le abitudini alimentari, la mobilità, e le altre centinaia di “indicatori sociali” dalle migliaia di organizzazioni di volontariato , dalle mutue sanitarie, dalle cooperative di consumatori, dalle misericordie, dalle associazioni ambientaliste, dalle associazioni che organizzano i pendolari, etc.
Per non dire dei miliardi di dati sulla salute che si accumulano nelle mutue sanitarie dei cittadini, nelle cooperative dei medici, nelle misericordie, come nelle organizzazioni di volontariato che si occupano dei servizi alla cura della persona, che potrebbero essere condivisi per migliorare la qualità della vita delle persone. C’ è insomma un immenso giacimento di dati e informazioni nel mondo dei corpi intermedi e dei soggetti dell’economia sociale, che sommato a quello delle istituzioni pubbliche, consentirebbe grazie alle tecnologie dell’IA, una serie infinita di correlazioni e soluzioni a molti problemi delle nostre società, creando le premesse per la creazione di un enorme area di sperimentazione per la creazione di beni comuni digitali destinati al benessere delle persone.
Questa funzione di vera e propria “predizione sociale attiva”, può essere ben assolta dai corpi intermedi proprio perché i fenomeni sociali a cui bisogna fare fronte sono sempre più multifattoriali, e pertanto necessitano per la loro interpretazione di una sempre maggior quantità e qualità di dati e di una visione multidisciplinare e olistica.
A settembre 2024, in un sussulto del multilateralismo, è stato approvato dalle 193 nazioni aderenti alle Nazioni Unite, Il Patto per il futuro e il Global Digital Compact, nel quale viene esplicitamente riconosciuto “l’immenso potenziale dei sistemi di intelligenza artificiale per accelerare il progresso di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile” dell’Agenda 2030.
Sempre nel 2024 McKinsey ha pubblicato una survey nel quale ha identificato 160 applicazioni di IA che sono potenzialmente idonee ad aiutare a raggiungere alcuni SDGS.
Il Prof. Alex Pentland del MIT nel suo libro sulla “Fisica Sociale”, spiega che per raggiungere l’obiettivo della efficienza sociale nelle società iperconnesse del futuro” è necessario un public data commons, capace di fornirci un quadro complessivo in tempo reale.”[5]
Public data commons
Questo potrebbe essere un grande progetto innovativo da realizzare con i corpi intermedi e le imprese dell’economia sociale: la creazione di un “public data commons” a partire dai dati sociali che sono già in loro possesso e tutti quelli che potranno essere recuperati in un’azione congiunta e partecipativa con i loro associati.
In questa azione di rifondazione digitale dei corpi intermedi, il CNEL, la casa istituzionale dei corpi intermedi in Italia, potrebbe assumere un ruolo significativo, come ha anche ipotizzato recentemente il suo Presidente Brunetta[6].
Un nuovo “patto sociale digitale”, dovrebbe dunque mettere al centro la transizione digitale con i cambiamenti che porterà nel mondo del lavoro e nella società in genere, e potrebbe fondarsi proprio a partire da uno scambio equo tra il valore aggiunto che si determina attraverso l’uso delle tecnologie digitali, nell’interazione tra il lavoro e le macchine.
Ai corpi intermedi andrebbero anche affiancati, tutti i produttori del mondo della conoscenza e della ricerca pubblica, in primo luogo le Università, e gli attori istituzionali del sistema di ricerca di ricerca (Cun,Crui, Cnr, Conper,etc) , dove ci sono altri enormi giacimenti di dati e conoscenze che dovrebbero essere messi a disposizione dell’ ecosistema dei dati condivisi per la creazione di beni pubblici digitali. Tra l’altro molti degli algoritmi in uso per l’analisi dei dati sono stati sviluppati proprio da ricercatori universitari e spesso sono già disponibili per tutti in open source. Inoltre le Università hanno un importante asset che in Italia, come nel resto di Europa, è pubblico , e sono i Chips che servono per la potenza di calcolo dell’IA.
In Italia il Consorzio Universitario Cineca (con sede a Bologna e che raccoglie 118 consorziati tra Università, Ministeri e istituzioni pubbliche) dispone di uno tra i maggiori supercomputer europei. Si tratta di Leonardo, sesto più potente HPC al mondo, grazie ai 250 milioni di miliardi di operazioni processate al secondo (246 petaflop) con una batteria di 14 mila GPU, peraltro in via di potenziamento. Queste risorse computazionali pubbliche, valorizzandone la loro funzione sociale, dovrebbero dunque riservare una quota del loro utilizzo per far funzionare gli algoritmi dell’IA sociali.
A monte ci sarà bisogno di lavorare ad una “alleanza” tra i corpi intermedi e i soggetti dell’economia sociale che, messe da parte i residui steccati figli delle divisioni novecentesche, dovranno realizzare per primi i principi di condivisione dei dati, facendo nascere tra di loro uno o più “aggregatori di dati” come previsto dal Digital Governance Act europeo, per mettere insieme l’enorme potenziale di dati e informazioni di questi soggetti. I principi etici condivisi negli aggregatori di dati, saranno i pilastri con cui verranno costruite le finalità operative delle IA sociali, i cui algoritmi opereranno in base a quegli stessi principi (democrazia, mutualità, solidarietà, mancanza di profitto, etc.) con cui operano i corpi intermedi, a garanzia per tutti i cittadini di un sistema tecnologico delle IA costruito a salvaguardia dell’interesse e del bene comune.
Attraverso il nuovo “patto sociale digitale” si potrebbe quindi immaginare una nuova forma di “compartecipazione” all’utilizzo e alla condivisione dei dati, tra capitale, lavoro e consumatori, come base condivisa per l’utilizzo delle nuove tecnologie del futuro. In questo modo i benefici andrebbero a tutti e sarebbero ripartiti in maniera più equa.
Il presupposto legislativo ci viene oggi dalle diverse e lungimiranti norme che definiscono lo “spazio digitale europeo” in sintonia e armonia con i diritti della persona sanciti nei trattati dell’Unione, a partire dalla possibilità di disporre di una copia dei nostri dati digitali da qualunque piattaforma digitale detenuti (art 20 GDPR) e di poterne disporre liberamente per metterli, tramite gli “aggregatori dei dati “ (DGA), a disposizione di ulteriori soggetti per realizzare finalità da noi determinate sia di carattere profit che non profit (altruismo dei dati). Si tratta di un imponente e innovativa regolazione (che si completa con il Data Act; l’IA Act; il DMA e il DSA; etc) che identifica uno spazio digitale europeo democratico che va tutelato da chi, come l’amministrazione Trump, vuole superarlo a vantaggio delle imprese dei tecnocapitalisti, ma che soprattutto deve essere messo a frutto per produrre risultati concreti a favore di tutti i cittadini europei.
Infine l’Unione Europea dovrebbe fare uno sforzo maggiore per sviluppare quel “mercato digitale” che ha indicato tra i suoi obiettivi primari, superando la sindrome della iper-regolamentazione e facilitando in tutti i modi il superamento, almeno nel “mondo digitale”, di quelle barriere che nel mondo reale impediscono ancora la realizzazione di una effettiva Unione tra i paesi europei.
Si tratterebbe di immaginare una sorta di “CECA Digitale” (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) nella quale realizzare un grande spazio comune per la condivisione e l’utilizzo dei dati digitali, con infrastrutture e risorse adeguate, come sottolineato anche nei rapporti Draghi e Letta.
Servirebbe anche far decollare in Europa un “modello di intelligenze artificiali federate” [7] proprio a partire dal mondo del sociale. A cui si potrebbe affiancare un’altra istituzione, come il “CERN dell’IA” proposto da un gruppo di scienziati tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, dove collocare i ricercatori che costruiranno gli algoritmi delle IAS europee.
Un simile ecosistema europeo della condivisione dei dati digitali servirebbe a favorire la realizzazione di IA per il sociale, cogestite da corpi intermedi e soggetti dell’economia sociale, insieme al mondo della scienza e con le imprese digitali private che però si impegnerebbero a rispettare le regole europee.
Si tratterebbe di un grande sforzo a livello Europeo, quello di promuovere la libera circolazione e l’arricchimento dei dati digitali tra i diversi paesi dell’Unione, a cui andrebbe affiancata una funzione analoga a quella che ha svolto, con successo, il programma “Erasmus”, per la circolazione dei giovani.
Un “Erasmus dei dati” favorirebbe così la nascita di una cultura, oltreché di uno spazio comune europeo, per la condivisione e l’utilizzo dei dati digitali da parte di tutti per la realizzazione di beni sociali digitali.
Condividendo e facendo circolare i dati, l’economia europea potrebbe diventare uno dei luoghi più innovativi al mondo, così come i suoi leader dichiarano ripetutamente di voler fare, proponendo modelli sociali di IA che non favoriscano però solo lo sviluppo economico ma anche quello sociale e inclusivo come indicato anche dalla Dottrina sociale della Chiesa, che va a favore di tutti, e non solo di pochi.
Note
[1] Cfr. Grossi P.; Le comunità intermedie tra moderno e pos moderno, Marietti,2015; pg 39
[2] Cfr; A. Campati; Corpi intermedi; Dizionario di dottrina sociale della Chiesa; fascicolo 1; 2021;Caritas in veritate, 7
[3] Ibidem; Compendio dottrina sociale della Chiesa 2004, 168- 441
[4] Papa Francesco, Messaggio per la 58 giornata delle comunicazioni sociali, Roma, 2024.
[5] Alex Pentland; Fisica sociale , come si propagano le buone idee; Università Bocconi Editore; Mi; 2015; pg 187
[6]Intervista Brunetta; 30 luglio 2024; Sole 24 ore;
[7] Mario Draghi ; ibidem, pg. 32