La digitalizzazione delle comunicazioni ha dato origine a questioni giuridiche del tutto originali, ed ha offerto nuovi e potenziali strumenti probatori sui quali vale senz’altro la pena interrogarsi. Sarebbe immaginabile, per esempio, sfruttare il contenuto dei messaggi digitali, ad esempio quelli scambiati attraverso Whatsapp o canali simili, come prova da esibire in sede giudiziaria? Vediamo la situazione e, nel caso, a quali condizioni e quale valore dovrebbe riconoscersi a queste forme di corrispondenza.
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Messaggi istantanei quali documenti informatici
Limitando il raggio della riflessione al procedimento civile, appare evidente come, negli ultimi anni, si siano moltiplicate le sentenze di tribunali di merito, e della stessa Corte di Cassazione, volte a definire il valore e l’utilizzabilità in giudizio della messaggistica istantanea.
La Suprema Corte, per esempio, è intervenuta sulla questione stabilendo che: “lo “short message service” (“SMS”) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell’ambito dell’articolo 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime” (Corte Cass. Sez I, 17 luglio 2019 n. 19155).
Una pronuncia che rappresenta un’importante punto di svolta, poiché ha ricondotto la categoria dei messaggi istantanei al più ampio concetto di documenti informatici previsto dall’articolo 2712 c.c., rendendo quindi possibile la produzione dinanzi ai Tribunali delle comunicazioni e delle conversazioni di natura digitale. Questo orientamento è la dimostrazione di come il diritto abbia iniziato ad evolversi e adattarsi alle trasformazioni della società, ivi incluse le nuove tipologie di comunicazione.
Lo stesso articolo 2712 c.c. è stato, infatti, novellato nel 2006 dall’articolo 23, ora 23-quater del Codice dell’amministrazione digitale (D. lgs. 7 marzo 2005, n. 82).La norma in questione contemplava in origine le sole riproduzioni fotografiche, cinematografiche e registrazioni fonografiche. La modifica intervenuta ha invece ampliato detta disposizione prevedendo nel novero delle riproduzioni ammissibili, anche quelle informatiche. Oggi, grazie a tale integrazione e all’orientamento giurisprudenziale della Corte, è possibile utilizzare in sede giudiziaria, quali documenti informati, anche i messaggi Whatsapp.
Requisiti per l’ammissibilità dei messaggi Whatsapp a processo
Assodata la possibilità di poter utilizzare come prove digitali i messaggi delle chat, occorre ora focalizzarsi sulla modalità con cui detti messaggi possono essere validamente prodotti in giudizio. Una delle prime sentenze sul tema è stata quella del Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, del 24 ottobre 2017, con la quale era stata disconosciuta la possibilità di acquisire come prova alcuni messaggi Whatsapp poiché prodotti unicamente mediante trascrizione. Nel caso di specie, non era stato possibile ottenere né una riproduzione fotografica dei messaggi, né tantomeno risalire ai supporti informatici contenenti le conversazioni allegate. Inoltre, la conformità e il contenuto degli stessi era stato contestato da controparte.
A chiarire i requisiti necessari per considerare i messaggi istantanei validamente prodotti, è poi intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11197 del 2023. In tale sentenza, la Corte ha stabilito che l’ammissibilità dei messaggi Whatsapp nel processo è condizionata alla dimostrazione dell’autenticità della loro provenienza nonché dell’affidabilità e dell’integrità del loro contenuto.
È, dunque, necessario essere in grado di dimostrare che il messaggio provenga da un dispositivo identificabile e che il contenuto dello stesso non sia stato in alcun modo alterato. Ciò a tutela da eventuali azioni di falsificazione o manipolazione dei messaggi Whatsapp, che oggigiorno appaiono di facile realizzazione.
A dimostrazione dell’autenticità, dell’affidabilità e dell’integrità dei messaggi, è possibile richiedere l’effettuazione di perizie forensi e consulenze tecniche, volte ad attestare formalmente che il contenuto dei messaggi non è stato in alcun modo alterato e che rappresentano il reale scambio delle comunicazioni tra le parti. Dunque, l’aspetto imprescindibile per una valida ammissione e valutazione dei messaggi Whatsapp in giudizio, non è la sola modalità tecnica con cui vengono prodotti, ma anche la dimostrazione dell’autenticità, dell’origine e dell’integrità dei messaggi stessi.
Valore dei messaggi Whatsapp in sede giudiziaria
I messaggi Whatsapp, che rispettino i suesposti requisiti, possono quindi essere validamente prodotti in giudizio quali documenti informatici ex articolo 2712 c.c. L’assimilazione dei messaggi Whatsapp ai documenti informatici, fa sì che questi formino piena prova in relazione ai fatti e alle cose in essi narrati e/o rappresentati. Il giudice sarà, dunque, tenuto a valutarli ai fini della propria decisione, a meno che la parte contro i quali essi sono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Tuttavia, una semplice e generica contestazione non è idonea a degradare la qualità di piena prova degli stessi. Al contrario, il disconoscimento produrrà i propri effetti unicamente se chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Corte Cass. sez. VI, 13 maggio del 2021, n.12794).
Messaggi Whatsapp come prova del credito
Un’ultima importante pronuncia sulla questione, si è avuta con l’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione II, del 18 gennaio 2025 n. 1254, nella quale viene esplicitamente riconosciuto ai messaggi Whatsapp il valore di promessa di pagamento.
Infatti, con detta ordinanza, la Corte di Cassazione ha in primo luogo ribadito la rilevanza e l’efficacia probatoria che i messaggi WhatsApp e gli SMS possono assumere nei procedimenti civili, ribadendo che tali messaggi, conservati nella memoria di un telefono cellulare, possono essere utilizzati come prova documentale ex articolo 2712 c.c. nell’ambito di un procedimento civile, ed essere quindi legittimamente acquisiti mediante la semplice riproduzione fotografica, ovvero tramite screenshot, purché sia possibile verificare la provenienza e l’attendibilità dei messaggi stessi.
In secondo luogo, la Corte ha stabilito che un messaggio Whatsapp nel quale viene riconosciuto un debito, equivale a promessa di pagamento. Dunque, un elemento di prova, che singolarmente o a rafforzamento degli altri elementi già prodotti, è idoneo a dimostrare la pretesa creditoria vantata in giudizio.
La decisione traeva origine da una controversia relativa al pagamento del corrispettivo per la fornitura e l’installazione di serramenti. La società fornitrice aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento di 28.050 euro, contestato in sede di opposizione dal debitore che negava di aver mai scelto i beni oggetto delle fatture azionate in sede monitoria, e sostenendo di aver concordato un prezzo inferiore e di aver già effettuato il pagamento tramite assegno.
Il Tribunale, in primo grado, aveva accolto la domanda dell’opponente, revocando il decreto ingiuntivo. La pronuncia era stata poi appellata dinanzi la Corte d’Appello di Milano dalla società di serramenti, la quale, in riforma alla pronuncia oggetto di gravame, confermava il decreto ingiuntivo, ritenendo provata l’esistenza dell’accordo e l’importo dovuto anche sulla base di messaggi WhatsApp scambiati tra le parti.
La sentenza veniva poi impugnata dinanzi la Suprema Corte di Cassazione che, nel confermare l’ormai già consolidato orientamento giurisprudenziale, ribadiva che i messaggi WhatsApp, analogamente agli SMS, rientrino tra le riproduzioni informatiche disciplinate dall’art. 2712 del Codice Civile, costituendo, pertanto, piena prova dei fatti e delle circostanze rappresentate se la parte contro cui sono prodotti non ne contesta la conformità.
La decisione della Suprema Corte
Nel caso in disputa, il ricorrente contestava l’utilizzabilità processuale del “documento” in sé, piuttosto che la natura artefatta del suo contenuto. Nell’ordinanza i Giudici di Piazza Cavour precisavano come, ai fini della decisione, il documento non aveva avuto rilevanza per ritenere provato il quantum della fornitura e della posa in opera dei serramenti, bensì che tale documento avesse costituito un elemento indiziario utilizzato per suffragare l’attendibilità di una testimonianza resa nel corso del giudizio, contribuendo a confermare l’esistenza del debito contestato. Infatti, dal tenore della conversazione prodotta, vi era un implicito riconoscimento di debito nei confronti del destinatario del messaggio.
Il ricorso veniva, pertanto, rigettato, in quanto la Corte ribadiva l’ammissibilità in sede giudiziaria dei messaggi Whatsapp e riconosceva agli stessi il valore di una vera e propria promessa di pagamento. Questa pronuncia segna un passo importante per tutti i creditori, in quanto crea un precedente giurisprudenziale che potrà essere impiegato in casi analoghi per dimostrare le proprie pretese creditorie.
Cosa dicono norme e giurisprudenza
Le pronunce giurisprudenziali qui richiamate dimostrano chiaramente come il diritto stia evolvendo di pari passo con la trasformazione della società, adattandosi al nuovo modo con cui le relazioni interpersonali e commerciali si esplicano. Infatti, oggigiorno non è raro impiegare sistemi di messaggistica istantanea per pattuire aspetti e condizioni giuridicamente rilevanti in ordine ad accordi o contratti.
La Corte ha recentemente dimostrato una apertura all’ammissibilità nei procedimenti civili dei messaggi istantanei: chiaro segnale dell’adattamento degli strumenti probatori all’evoluzione tecnologica dei nostri giorni. Tuttavia, le pronunce degli ultimi anni evidenziano anche la necessità di adottare misure sempre più adeguate a garantire l’affidabilità e l’integrità di tali prove digitali, considerato che i messaggi Whatsapp presentano comunque alcune criticità.
Prime fra tutte, il tema dell’autenticazione del messaggio e dell’autore, posto che potrebbe essere contestata la paternità del messaggio, e quindi che lo stesso sia stato inviato realmente dal debitore e non da un terzo. Senza considerare i possibili utilizzi fraudolenti ed abusivi degli strumenti informatici al fine di manipolare o falsificare le prove digitali e, dunque, influenzare la decisione dell’Autorità.
La giurisprudenza sta quindi tentando di adeguarsi alle trasformazioni sociali, ampliando l’ammissibilità delle prove digitali nel processo, e al contempo individuando garanzie e tutele volte ad evitare abusi e utilizzi fraudolenti degli strumenti informatici, che avrebbero importanti ripercussioni negative sulle decisioni di merito. Tuttavia, sarà sicuramente necessario attendere ancora per comprendere appieno la reale portata di quello che sarà l’ampliamento e la trasformazione giurisprudenziale in tema di prove digitali.