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AI Overview in Italia: il web cambia per sempre. Ecco vantaggi e pericoli



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AI Overview ora anche in Italia. La nuova funzione del motore di ricerca integra i Large Language Models (LLM) e trasforma il modo in cui accediamo alle informazioni online. Una sfida strategica per Google, un cambiamento radicale per gli utenti, un terreno ancora incerto per editori e content creator

Pubblicato il 27 mar 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



ai overview italia google

Sta cambiando tutto nella ricerca online e ormai anche gli italiani più distratti se ne sono accorti: perché AI Overview di Google ora arriva anche in Italia.

Cambia tutto e al tempo stesso è tutto in movimento, senza sosta e senza certezze.

Nel grande Gran Premio della ricerca online, la bandiera a scacchi non si vede all’orizzonte. Il tracciato è nuovo, le regole ancora in fase di scrittura, i sorpassi continui. Google non è scattata dalla pole position: OpenAI con ChatGPT, Perplexity.ai e startup emergenti hanno acceso i motori prima, offrendo esperienze di ricerca conversazionale basate su intelligenza artificiale generativa.

Ora il colosso di Mountain View sta recuperando terreno, con una strategia calibrata. AI Overview è proprio figlio di questo spirito.

ai overview

Cos’è Ai Overview, anche in Italia

Ai Overview è la sua nuova funzione di sintesi intelligente all’interno del motore di ricerca. Non è ancora l’equivalente di un chatbot a pieno regime, come SearchGPT o Grok, ma è una via di mezzo strategica, che serve a Google per rientrare nella scia, mantenere il controllo della corsa e – possibilmente – rilanciare verso una nuova leadership.

Chi ne trae vantaggio? Cosa cambia per gli utenti?

AI Overview promette di cambiare l’esperienza degli utenti in modo significativo. Invece di fornire semplicemente un elenco di link, Google ora propone una risposta sintetica e ragionata, generata da modelli linguistici avanzati, che anticipa la ricerca e prova a rispondere prima ancora che l’utente clicchi. Le utilità aggiuntive per l’utente sono evidenti:

  • Risposte più veloci e complete, anche a domande complesse.
  • Contesto immediato, utile per orientarsi senza aprire decine di pagine.
  • Possibilità di porre domande successive, creando un filo logico simile a una conversazione.

Tutto questo rappresenta un’evoluzione della “search experience”: più proattiva, predittiva, assistita. Il vantaggio è anche legato al risparmio di tempo: meno dispersione, più direzione, una guida che permette all’utente di arrivare più rapidamente all’essenza dell’informazione.

I problemi che apre Ai Overview

Come sempre c’è un rovescio della medaglia: quando la risposta ci arriva già pronta, rischiamo di perdere l’abitudine all’esplorazione autonoma, e con essa, una parte del nostro senso critico. Come abbiamo avuto modo di approfondire la comodità dell’intelligenza artificiale generativa rischia di favorire una “pigrizia cognitiva”[1] in cui l’elaborazione mentale viene delegata alla macchina. L’utente può approfondire, se vuole, ma non è più costretto a orientarsi nel mare magnum del web partendo da zero, questa apparente semplificazione, se non accompagnata da consapevolezza, può tradursi in una progressiva perdita di controllo sulle informazioni, sulle fonti e sul proprio processo di pensiero.

Inoltre, come evidenziano le recenti analisi sull’evoluzione del mercato del lavoro e sull’uso dell’AI, si delinea una dinamica pericolosa anche dal punto di vista dell’equità cognitiva e sociale. I sistemi di ricerca potenziati dall’AI, come Deep Search ad esempio, rischiano di amplificare una forma di dittatura della maggioranza, dove le risposte privilegiano ciò che è più cercato o più condiviso, a scapito della diversità e della complessità delle fonti. Questo non è un effetto collaterale inatteso, ma una conseguenza coerente con il principio stesso che ha reso Google dominante: non la rilevanza assoluta, ma la popolarità come metrica primaria di classificazione. Un approccio che viene esteso oggi alla generazione automatica di contenuti, rischiando di cristallizzare visioni maggioritarie e consolidare l’esistente, soffocando punti di vista alternativi e conoscenze meno diffuse. Allo stesso tempo, emerge un nuovo divario di competenze: chi sa usare questi strumenti decolla, chi non li padroneggia resta indietro[2].

Alcuni studi segnalano che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, le figure più senior e preparate potrebbero trarre un vantaggio competitivo proprio grazie alla loro capacità di integrare questi strumenti nel proprio pensiero critico e strategico, mentre i profili meno esperti o meno alfabetizzati digitalmente rischiano di restare ai margini, diventando consumatori passivi delle sintesi prodotte dall’AI.

La mossa di Google sull’AI nella search: non perdere il controllo della pista della pubblicità online

Per Google, l’arrivo di AI Overview è anche una mossa di difesa del proprio business model. Il motore di ricerca tradizionale è ancora la gallina dalle uova d’oro, basata su traffico, advertising e visibilità. Ma l’esperienza degli utenti sta cambiando, restare intrappolati nel dilemma dell’innovatore[3] significherebbe perdere la corsa. AI Overview è stato introdotto inizialmente come parte dell’esperienza di ricerca generativa (Search Generative Experience, SGE) durante la conferenza Google I/O del maggio 2023. L’arrivo in Europa è avvenuto più tardi, anche per via della maggiore complessità normativa (GDPR e, in prospettiva, AI Act) e per la necessità da parte di Google di non cannibalizzare troppo in fretta il proprio core business fondato sulla pubblicità.

Search, AI overview e Ai chat: le tre anime di Google per chi cerca

Per questo oggi Google ha strutturato la propria offerta in modo modulare, articolando la ricerca in tre diverse modalità operative che rispondono a differenti livelli di complessità e abitudini degli utenti. Questa coesistenza serve sia ad accompagnare gradualmente il cambiamento, sia a proteggere il proprio modello economico basato sulla pubblicità, integrando innovazione e continuità.

  • Ricerca Tradizionale – È la modalità classica, basata su un elenco ordinato di link che rispondono alla query inserita. La rilevanza è definita da segnali come il PageRank, la pertinenza testuale, la qualità dei contenuti e l’autorità dei siti, ma resta un’interazione lineare e reattiva: l’utente cerca, il motore restituisce risultati.
  • AI Overview – È la modalità intermedia e attualmente più visibile nel passaggio all’AI-powered search. Integra la generazione di risposte sintetiche direttamente nella SERP (pagina dei risultati) offrendo un riepilogo testuale costruito sulla base delle fonti più rilevanti. Le risposte non sostituiscono i link, ma li accompagnano, proponendo una visione rapida, riassuntiva e contestuale. È pensata per domande più articolate o composite, dove l’utente ha bisogno di un orientamento iniziale piuttosto che di un elenco esaustivo di risultati.
  • AI Mode – Attualmente in fase sperimentale negli Stati Uniti, rappresenta l’evoluzione più spinta: una modalità chatbot che consente interazioni conversazionali prolungate e multi-turno. Utilizza i modelli Gemini per rispondere, spiegare, suggerire link, approfondimenti, articoli e strumenti. È pensata per domande complesse, ragionamenti in più fasi e per simulare una ricerca in tempo reale guidata da un assistente virtuale intelligente.

AI Overview è un ibrido pensato per tenere insieme l’affidabilità del vecchio modello e la fluidità del nuovo. E, soprattutto, per non cedere completamente il vantaggio competitivo a chi – come OpenAI o Perplexity – si è mosso per primo. Attenzione però: molte di queste funzionalità, in particolare AI Overview e AI Mode, non sono ancora pienamente disponibili in Italia al momento della pubblicazione di questo articolo.

AI Overview è accessibile solo per alcuni utenti iscritti al programma Search Labs e solo in lingua inglese.

AI Mode è ancora in fase di test negli Stati Uniti. È quindi possibile che, provando a replicare quanto descritto in questo articolo, l’utente italiano non trovi ancora queste modalità attive nella propria versione di Google Search. Il loro rilascio globale sarà progressivo e influenzato da normative locali, scelte strategiche e feedback degli utenti. Come già accaduto in passato con altri servizi digitali, alcuni utenti possono accedere in anteprima utilizzando una VPN impostata su una connessione dagli Stati Uniti. Una soluzione non ufficiale, ma già adottata da chi desidera testare le novità direttamente all’origine. Va però ricordato che anche con VPN, l’accesso ai Search Labs può restare limitato a una selezione di account Google abilitati.

Approfondimento e fiducia: un equilibrio delicato

Per l’utente, questo modello ibrido può funzionare bene. Ma approfondire è ancora possibile? Sì, ma a patto di fidarsi della catena di elaborazione algoritmica. L’AI riassume, riformula e propone: ma da quali fonti attinge? Con quale criterio seleziona? E soprattutto: i link sono ancora lo strumento principale per entrare davvero nel dettaglio? Google rassicura: le fonti sono indicate, i link non spariscono. Ma il rischio è che, nel tempo, si perda l’abitudine all’esplorazione e si deleghi tutto alla sintesi generata. È comodo, certo.

Ma siamo sicuri che sia sempre sufficiente? Il vero pericolo non è solo informativo, ma culturale: affidare la mediazione del sapere a un algoritmo rischia di alterare il nostro libero arbitrio, influenzando ciò che riteniamo rilevante o vero. Il modello stesso diventa un potente agente di agenda setting[4], capace di orientare interessi e priorità senza che l’utente ne sia pienamente consapevole. Quando non siamo più noi a scegliere cosa approfondire, ma l’algoritmo a guidarci nelle sue traiettorie sintetiche, il rischio è la perdita di controllo sul processo stesso di pensiero critico. In questo scenario, l’autonomia intellettuale non è più garantita: si riduce a una libertà condizionata dalle logiche, opache, della selezione automatica.

Ma forse questa delega l’abbiamo già avviata molti anni fa, senza accorgercene. Già con l’introduzione di PageRank e l’affermazione del motore di ricerca come interfaccia unica verso l’informazione globale, abbiamo iniziato a fidarci di un ordine algoritmico, costruito su segnali di popolarità più che su criteri di autorevolezza. L’intelligenza artificiale non ha fatto che spingere questa logica un passo più in là grazie anche all’ascesa dei social network, questo processo si è ulteriormente radicalizzato: i contenuti vengono selezionati e amplificati sulla base dell’engagement, dei like, delle condivisioni. L’attenzione si è trasformata nella valuta dominante del web, e gli algoritmi sono diventati gli editori invisibili del nostro tempo. Lì dove prima c’era la ricerca, ora ci sono feed infiniti che ci suggeriscono cosa vedere, leggere, pensare. La domanda, allora, è inevitabile: quando abbiamo davvero perso il controllo?

Editor, content creator e copyright: i nuovi esclusi?

Qui si apre il capitolo più spinoso. Se le risposte vengono costruite dall’AI a partire da contenuti editoriali, chi è il vero autore del contenuto? E chi viene remunerato? Il dibattito sul copyright nell’era dell’AI generativa è già acceso. Le testate che forniscono i dati di addestramento ai modelli sono a rischio disintermediazione. I modelli, pur non copiando direttamente, estraggono valore da contenuti protetti.

In Europa, il Regolamento sull’AI e il GDPR chiedono maggiore trasparenza: sapere quali fonti vengono usate, come vengono selezionate, come si protegge la proprietà intellettuale. Ma per ora siamo in una zona grigia. Il rischio che l’intelligenza artificiale diventi una grande “sintetizzatrice anonima ma non neutra”, che risponde in nome di tutti, ma senza riconoscere davvero nessuno. A livello economico, si sta configurando un nuovo paradosso: chi crea valore è sempre meno in grado di monetizzarlo, mentre il valore si sposta verso chi aggrega, sintetizza e distribuisce. In questo scenario, gli editori rischiano solo di diventare ancora di più fornitori di materia prima gratuita, in una catena del valore che si è spostata a monte, nelle mani di chi controlla i modelli generativi, che ad oggi non hanno ancora cristallizzato un business model consistente[5].

Le piattaforme che gestiscono l’intelligenza artificiale guadagnano non solo in termini economici, non pagando, ma anche in termini di potere informativo e strategico, diventando attori centrali nel sistema della conoscenza e nel mercato dell’attenzione. La sfida è quindi anche politica ed economica: come redistribuire equamente il valore generato? Come garantire la sopravvivenza di un ecosistema informativo pluralista, dove il contenuto di qualità non venga cannibalizzato dalla sintesi algoritmica?

Una nuova grammatica della conoscenza

Siamo all’inizio di una nuova fase: l’epoca della ricerca assistita, dove non cerchiamo più da soli, ma con l’aiuto di un sistema predittivo che interpreta i nostri bisogni. È comodo, ma è anche un cambio di paradigma culturale. Dalla navigazione attiva alla ricezione passiva. Dall’informazione selezionata all’informazione generata. Dal link al linguaggio.

Chi saprà creare contenuti digeribili per l’AI ma riconoscibili per gli utenti, troverà nuove opportunità. Chi resterà fuori da questo flusso rischia invece di perdere visibilità, rilevanza e monetizzazione.

Quale futuro nella ricerca online? Scenari e rischi

La corsa è appena iniziata, AI Overview non è che un punto di passaggio, una tappa intermedia in una trasformazione molto più ampia che riguarda non solo il modo in cui cerchiamo le informazioni, ma anche il modo in cui pensiamo, decidiamo, impariamo. L’intelligenza artificiale, integrata nei motori di ricerca, nei social network e nelle piattaforme di contenuti, sta progressivamente riscrivendo le regole della conoscenza, della fiducia e della distribuzione del valore.

Il rischio non è solo tecnologico ma culturale, economico e democratico: dalla perdita di senso critico al rafforzamento dei bias, dalla marginalizzazione dei contenuti meno visibili alla concentrazione del potere cognitivo nelle mani di pochi attori globali.

I benefici in termini di efficienza e risparmio di tempo sono reali, ma vanno bilanciati con un impegno collettivo a mantenere viva la pluralità, la trasparenza e l’autonomia nel nostro rapporto con l’informazione. La domanda finale, allora, non è solo se sapremo governare questi strumenti, ma se sapremo riappropriarci del diritto di scegliere, di pensare in modo critico, di navigare senza delegare tutto all’algoritmo. O forse, quel diritto, lo abbiamo già abbandonato da tempo, senza nemmeno accorgercene? In questa gara tra modelli linguistici, infrastrutture tecnologiche, norme, pubblicità e contenuti, Google non vuole essere superata.

Ma dovrà fare attenzione: più potere ha chi sintetizza, più alta è la responsabilità di come e cosa viene raccontato. Per noi utenti, content creator o imprese, la vera domanda non è più soltanto se possiamo ancora esplorare liberamente, ma se siamo davvero disposti a farlo. Vogliamo davvero affidarci a un motore che interpreta per noi, sintetizza per noi, decide cosa mostrarci? Oppure sentiamo ancora il bisogno – e il diritto – di costruire le nostre domande, esercitare il dubbio, scegliere le fonti, imparare anche per tentativi ed errori? In un mondo dove tutto ci viene servito in forma breve, pronta, rassicurante, quanto spazio resta per la complessità, per l’incertezza, per la ricerca autentica?

Note


[1] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/genai-alleato-o-sostituto-del-nostro-cervello-gli-impatti-sul-pensiero-critico/

[2] https://www.agendadigitale.eu/industry-4-0/lai-e-mercato-del-lavoro-chi-sa-usarla-decolla-gli-altri-arrancano/

[3] Clayton M. Christensen. Il dilemma dell’innovatore. Come le nuove tecnologie possono estromettere dal mercato le grandi aziende.

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Agenda_setting#:~:text=L’agenda%2Dsetting%20%C3%A8%20la,spazio%20e%20preminenza%20loro%20concessa.

[5] https://www.ai4business.it/intelligenza-artificiale/adozione-dellai-aziende-e-fornitori-alla-ricerca-del-giusto-modello-di-pricing/

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