Nel cuore delle tensioni geopolitiche del XXI secolo non ci sono solo dispute territoriali o commerciali, ma una battaglia silenziosa e strategica per la supremazia tecnologica. Il campo di battaglia principale è un oggetto minuscolo ma onnipotente: il semiconduttore. In questo scenario, la vicenda di Huawei Technologies Co., un tempo gigante inarrestabile della tecnologia globale, è diventata l’emblema della “guerra dei chip” tra Stati Uniti e Cina.
Un alto funzionario dell’amministrazione statunitense ha recentemente ribadito una posizione ferma: la capacità di Huawei di produrre in serie chip avanzati per l’intelligenza artificiale (IA) rimarrà “molto limitata” nel prossimo futuro. Questa affermazione, più che una semplice previsione, è la dichiarazione di intenti di una strategia pluriennale volta a contenere l’ascesa tecnologica di Pechino e, in particolare, a limitare le capacità di Huawei.
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Come Washington e i suoi alleati hanno isolato Huawei
Per affrontare l’ascesa tecnologica di Huawei e della Cina, gli Stati Uniti hanno dispiegato un complesso arsenale di controlli all’esportazione, gestito principalmente dal Dipartimento del Commercio (DOC) tramite il suo Bureau of Industry and Security (BIS). A partire dal 2019, l’amministrazione Trump ha lanciato una campagna senza precedenti, poi proseguita e costantemente intensificata dall’amministrazione Biden. Queste azioni mirano a impedire a Pechino di acquisire chip e tecnologie avanzate che potrebbero avere applicazioni militari o rafforzare la sua leadership nell’intelligenza artificiale.
Un esempio di questa strategia aggressiva è l’inserimento di Huawei nella “Entity list” del Dipartimento del Commercio, una lista nera che vieta alle aziende statunitensi di esportarle tecnologia senza una licenza speciale, concessa molto raramente per le tecnologie più critiche. Il colpo di grazia è stata poi la “Foreign direct product rule” (FDPR), una mossa audace con cui gli Stati Uniti hanno esteso la loro giurisdizione a livello globale: questa regola stabilisce che qualsiasi azienda, ovunque nel mondo, che utilizzi software o macchinari di origine statunitense per produrre chip, non può venderli a Huawei senza il permesso di Washington. Di fatto, questa misura ha tagliato fuori Huawei dalla sua precedente capacità di procurarsi i chip più avanzati.
Le restrizioni non si sono limitate ai chip finiti, ma hanno costituito un vero e proprio blocco tecnologico a 360 gradi. Il DOC, in particolare con i rafforzamenti di maggio 2025, ha puntato a bloccare l’accesso cinese ai chip di intelligenza artificiale più performanti e agli strumenti essenziali per la loro produzione, temendo le loro potenziali applicazioni militari. Queste misure includono tecnologie cruciali sia per la progettazione che per la fabbricazione, mirate a negare a Huawei (e più in generale alla Cina) la capacità di produrre autonomamente chip di IA di punta:
- Software di progettazione (EDA). Gli strumenti indispensabili per disegnare i complessi circuiti dei moderni processori, dominati da aziende con stretti legami con gli USA, sono diventati inaccessibili. Le recenti strette del DOC hanno specificamente colpito gli strumenti EDA necessari per i nodi di processo più avanzati, come quelli a 3nm e 5nm, essenziali per i chip IA di ultima generazione.
- Macchinari per la fabbricazione. Le attrezzature essenziali per le varie fasi della produzione di semiconduttori, comprese quelle per la litografia a ultravioletti estremi (EUV), necessarie per i nodi di processo inferiori ai 7 nanometri, sono state poste sotto severe restrizioni di esportazione verso Huawei.
A rafforzare questa strategia statunitense si è unita anche Taiwan, intensificando le proprie restrizioni. Già sabato 14 giugno, Taipei ha ufficialmente incluso Huawei Technologies Co. e Semiconductor Manufacturing International Corp. (SMIC) – la fonderia che produce i chip avanzati per Huawei – insieme a diverse delle loro controllate, in un aggiornamento della propria lista di “entità strategiche” nel settore delle materie prime ad alta tecnologia. Questa modifica, non annunciata pubblicamente, impone alle aziende taiwanesi di ottenere l’approvazione governativa prima di esportare verso le entità elencate, colpendo duramente entrambe le aziende che sono in prima linea negli sforzi della Cina per sviluppare tecnologie all’avanguardia per i chip di intelligenza artificiale.
Già nel giugno 2020, la Federal Communications Commission (FCC) statunitense aveva identificato Huawei come una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Queste nuove restrizioni taiwanesi potrebbero limitare gravemente l’accesso di Huawei a tecnologie, materiali e attrezzature taiwanesi cruciali per la produzione di semiconduttori, vitali per la realizzazione di chip per l’intelligenza artificiale, come quelli forniti da Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (TSMC) per giganti come Nvidia. È da notare che TSMC stessa aveva già interrotto le forniture a Huawei nel 2020 a causa dei controlli sulle esportazioni statunitensi. L’elenco aggiornato di Taiwan include anche unità Huawei in Giappone, Russia e Germania. Quest’ultima mossa di Taipei potrebbe vanificare i tentativi, precedentemente segnalati, di alcune aziende taiwanesi di aiutare Huawei a sviluppare una rete segreta di impianti di produzione di chip nella Cina meridionale, ostacolando ulteriormente le ambizioni di Huawei nel settore dei semiconduttori.
L’effetto combinato di tutte queste misure è stato devastante per HiSilicon, la brillante divisione di progettazione di chip di Huawei, che è stata di fatto strangolata e isolata dall’ecosistema globale di produzione e fornitura di semiconduttori.
La risposta di Huawei: il “momento Sputnik” del Mate 60 Pro e le sfide produttive
Messa alle corde, Huawei non è rimasta a guardare, impegnandosi in sforzi significativi per sviluppare capacità autonome. Il frutto più sorprendente di questo impegno è arrivato nell’agosto 2023, quando Huawei ha lanciato lo smartphone Mate 60 Pro. Al suo interno, il processore Kirin 9000S, un chip avanzato con un’architettura a 7 nanometri, ha segnalato una notevole resilienza dell’azienda. Questo evento è stato uno shock per Washington, percepito come un “momento Sputnik” che ha dimostrato la capacità di Huawei di superare, seppur con difficoltà, alcune delle restrizioni.
Tuttavia, un’analisi più attenta rivela una realtà più complessa riguardo la produzione di questi chip. Per produrre il chip a 7nm, Huawei ha dovuto fare affidamento su processi che non includono la tecnologia EUV, a cui non ha accesso, utilizzando invece macchinari di litografia a ultravioletti profondi (DUV), una generazione tecnologica precedente.
Per riuscirci, sono state necessarie tecniche complesse come il “multi-patterning“, che aumentano notevolmente i costi e la probabilità di difetti nella produzione. Di conseguenza, si ritiene che la resa produttiva (la percentuale di chip funzionanti per ogni wafer di silicio) per i chip di Huawei sia molto inferiore rispetto agli standard globali. Questo rende la produzione di massa estremamente costosa e lenta, limitando di fatto il volume di chip avanzati che Huawei può ottenere.
La sfida della produzione di massa e la stretta di Washington sul futuro di Huawei nell’IA
Durante un’audizione al Congresso, il Sottosegretario al Commercio Jeffrey Kessler ha dichiarato che Huawei sarà in grado di produrre solo 200.000 dei suoi chip Ascend AI nel 2025. Per mettere questo numero in prospettiva, il solo mercato cinese degli acceleratori di IA è stimato in circa 1,5 milioni di unità, e un singolo progetto di data center avanzato come lo “Stargate” di OpenAI potrebbe richiederne circa 500.000. Queste cifre suggeriscono che, nonostante gli sforzi di Huawei, la sua capacità di competere su vasta scala nel settore dell’IA avanzata rimane fortemente limitata dalle restrizioni.
Nonostante queste cifre, Kessler ha messo in guardia: “È fondamentale per noi non nutrire un falso senso di sicurezza… Non dovremmo consolarci troppo con il fatto che la produzione cinese di questi chip avanzati [per Huawei] sia relativamente limitata, perché sappiamo che hanno ambizioni globali”.
Per rafforzare questa strategia, il Bureau of Industry and Security (BIS), l’agenzia di Kessler, ha richiesto un aumento significativo dei finanziamenti per raddoppiare il numero di agenti per il controllo delle esportazioni e rafforzare la sorveglianza globale, segnalando la ferma intenzione di far rispettare le sanzioni e mantenere la pressione su Huawei. “È tempo che il BIS abbia le risorse necessarie per svolgere il suo lavoro”, ha affermato Kessler.
La contromossa di Pechino: il blocco delle fusioni e i complessi negoziati commerciali
La risposta della Cina alla crescente pressione statunitense e alleata non si limita agli sforzi di autosufficienza di Huawei. Pechino sta attivamente usando la propria leva geopolitica per colpire le aziende tecnologiche occidentali, in particolare quelle chiave per la produzione di semiconduttori. Un esempio lampante è il recente rinvio, da parte dell’Amministrazione statale cinese per la regolamentazione del mercato (SAMR), dell’approvazione della proposta di fusione da 35 miliardi di dollari tra Synopsys, produttore statunitense di strumenti per la progettazione di chip (EDA), e Ansys, sviluppatore di software di ingegneria.
Questo blocco, avvenuto dopo che Donald Trump ha inasprito ulteriormente i controlli sull’esportazione di chip contro la Cina a fine maggio 2025 (in particolare per gli strumenti EDA necessari per i chip a 3nm e 5nm), esacerba le tensioni commerciali. La fusione aveva già ottenuto il via libera dalle autorità antitrust statunitensi ed europee, rendendo la mossa cinese un chiaro segnale di ritorsione. Synopsys e Ansys controllano una quota significativa del mercato globale del software di progettazione elettronica, settore cruciale per l’industria dei semiconduttori. Il ritardo cinese non solo mette a rischio un accordo con una scadenza (“drop-dead clause”) fissata per il 15 gennaio 2026, ma serve anche a Pechino per ridurre la propria dipendenza dall’estero, dando tempo a startup EDA nazionali come Empyrean Technology di recuperare terreno. Sebbene Synopsys abbia parzialmente ripreso alcune vendite in Cina dopo averle sospese per conformarsi alle nuove regole USA, i suoi strumenti EDA più critici rimangono sotto stretto controllo, limitando pesantemente i clienti cinesi.
A complicare ulteriormente il quadro, la questione dei limiti statunitensi sui chip di intelligenza artificiale destinati alla Cina è rimasta irrisolta nell’accordo commerciale di Londra.
Pechino, infatti, non si è impegnata a concedere l’autorizzazione all’esportazione di alcuni magneti specializzati in terre rare, componenti cruciali per i fornitori militari statunitensi di aerei da combattimento e sistemi missilistici. Gli Stati Uniti, dal canto loro, mantengono le restrizioni all’esportazione dei chip avanzati di intelligenza artificiale verso la Cina, temendo le loro potenziali applicazioni militari. Durante i recenti colloqui di Londra, i negoziatori cinesi sembravano aver collegato i progressi nell’abolizione dei controlli sulle esportazioni di magneti in terre rare per uso militare con le restrizioni di lunga data imposte dagli Stati Uniti alle esportazioni dei chip di intelligenza artificiale più avanzati verso la Cina. Questo segna una nuova, complessa svolta nei negoziati commerciali tra le due superpotenze, che, iniziati con temi come il traffico di oppioidi, le tariffe doganali e il surplus commerciale cinese, si sono da allora concentrati sempre più sui controlli sulle esportazioni.
Inoltre, i funzionari statunitensi hanno segnalato l’intenzione di estendere i dazi vigenti sulla Cina per altri 90 giorni oltre la scadenza del 10 agosto, precedentemente concordata a Ginevra, suggerendo che un accordo commerciale più permanente tra le due maggiori economie mondiali è improbabile che venga raggiunto a breve.
Il futuro di Huawei e la competizione globale
La dichiarazione del funzionario statunitense non è propaganda, ma un’analisi lucida della situazione attuale. Huawei, pur avendo dimostrato una notevole capacità di innovazione e resilienza di fronte alle sanzioni, è intrappolata dalle limitazioni imposte sulla sua catena di approvvigionamento. La sua abilità di competere ai massimi livelli nell’IA, e più in generale nel settore tecnologico avanzato, dipende interamente dalla sua capacità di superare le barriere nella produzione su scala industriale di chip avanzati.
Nonostante questi limiti, l’intelligenza artificiale cinese continua a progredire. I recenti sviluppi nei chip Huawei, in particolare con il nuovo processore Ascend 910D, hanno mostrato un’accelerazione verso l’autosufficienza tecnologica di Pechino, soprattutto nel settore dell’intelligenza artificiale. I successi della Cina in questo settore derivano da una formidabile combinazione di fattori: ingenti investimenti governativi, contrabbando di chip, sfruttamento di scappatoie nella copertura del controllo delle esportazioni statunitense, completamento dei trasferimenti di attrezzature nazionali, reclutamento di talenti esperti da importanti aziende internazionali, reverse engineering di tecnologie straniere, sfruttamento dello spionaggio economico sponsorizzato dallo Stato e promozione di una vera innovazione interna. Tutti questi elementi contribuiscono al perseguimento dell’obiettivo di “autosufficienza e autorafforzamento” dell’IA, come recentemente ribadito dal Presidente Xi Jinping.
Considerati gli eventi dell’ultimo anno, non c’è dubbio che la Cina abbia ridotto il divario di sviluppo dell’intelligenza artificiale con gli Stati Uniti. La startup cinese di intelligenza artificiale DeepSeek ha attirato l’attenzione globale a gennaio lanciando un modello di ragionamento basato sull’intelligenza artificiale che, a suo dire, è stato addestrato con chip meno avanzati e risulta più economico da sviluppare rispetto ai suoi rivali occidentali.
La guerra dei chip è una maratona, non uno sprint, e definisce in gran parte il futuro di Huawei nel panorama tecnologico globale. Sebbene gli Stati Uniti mantengano un vantaggio decisivo oggi nel controllo della tecnologia chiave, la determinazione e gli investimenti che Huawei sta riversando per l’autosufficienza suggeriscono che l’azienda continuerà a cercare ogni strada per ridurre il divario tecnologico. Il futuro di Huawei si deciderà, in larga misura, nei laboratori dove cerca di innovare e nelle fonderie dove tenta di produrre, sempre sotto l’ombra delle restrizioni internazionali.