Una disposizione inserita nella riforma fiscale di Donald Trump, sostenuta da giganti del tech e da alcuni suoi alleati, mirava a impedire agli stati americani di approvare leggi sull’AI se ricevevano fondi federali. Il Senato l’ha cancellata con una maggioranza schiacciante. Decisivo il ruolo della senatrice repubblicana Marsha Blackburn, che ha difeso il Tennessee e il suo Elvis Act.
La vicenda accende i riflettori ruolo delle norme locali, come l’Elvis Act, per il futuro della regolazione dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti. Ecco lo stato dell’arte.
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Il fatto: il Senato Usa cancella la norma anti-regolazione sull’AI
Partiamo dall’ultimo episodio, rivelatore.
Nella notte tra lunedì 30 giugno e martedì 1 luglio, il Senato degli Stati Uniti ha votato 99 a 1 per rimuovere una norma contenuta nel disegno di legge fiscale promosso da Donald Trump, che avrebbe impedito agli stati americani di approvare leggi sull’intelligenza artificiale se beneficiari di fondi federali per la banda larga.
La norma, apparentemente tecnica, era in realtà il frutto di un’intensa pressione politica da parte della Silicon Valley. Tra i principali promotori figurano Microsoft, Meta, il fondo di venture capital Andreessen Horowitz, ma anche volti noti del tech e vicini a Trump: il venture capitalist Marc Andreessen, il fondatore dell’azienda di difesa Anduril Industries Palmer Luckey e il co-fondatore di Palantir Technologies Joe Lonsdale. Tutti avevano appoggiato pubblicamente l’inserimento della norma, nel tentativo di frenare la proliferazione di regolamentazioni locali considerate frammentate e potenzialmente dannose per lo sviluppo dell’AI. Anche la Casa Bianca era schierata a favore. Due consiglieri tecnologici di Trump, Michael Kratsios e David Sacks, si erano spesi per la misura, che secondo fonti interne avrebbe rappresentato un primo passo verso un quadro federale più favorevole alle imprese.
La rivolta interna: Marsha Blackburn, l’Elvis Act e il Tennessee sulle regole Usa per l’AI
Ma a far deragliare la norma è stata una senatrice repubblicana, Marsha Blackburn, eletta in Tennessee, che ha guidato la battaglia per la cancellazione. La sua motivazione è legata a una legge recente del suo stato, l’Elvis Act, che protegge i musicisti e gli artisti dalla replica non consensuale della propria voce o immagine tramite AI.
Secondo Blackburn, la norma federale avrebbe potuto neutralizzare l’Elvis Act, compromettendo il diritto del Tennessee di difendere la propria industria musicale, centrale per l’economia dello stato e simbolicamente legata alla figura di Elvis Presley. “Non possiamo consentire che una norma federale spazzi via leggi locali pensate per proteggere la voce e i diritti degli artisti”, ha dichiarato Blackburn durante le votazioni. Il senatore Ted Cruz, inizialmente favorevole alla moratoria, ha espresso frustrazione per il mancato accordo su una versione limitata della disposizione. Alla fine, anche lui ha votato per cancellarla.
Chi è la senatrice Marsha Blackburn
Marsha Blackburn, nata nel 1952, è la senatrice repubblicana senior del Tennessee e una figura chiave del Tea Party, riconosciuta come una delle parlamentari più conservatrici del Congresso. Fervente alleata di Donald Trump, membro del suo team di transizione nel 2016 e sostenitrice di molte delle sue politiche, in questo caso si è distinta perché si è schierata contro la norma pro‑tech, mettendo al primo posto la difesa dell’Elvis Act e dei diritti dello stato, più che l’agenda del partito o della Silicon Valley .
Anche tra i repubblicani cresce il fronte della regolazione
Il voto del Senato ha valore anche sul piano politico: mostra come la fiducia cieca nella capacità delle Big Tech di autoregolarsi non sia più scontata nemmeno tra i repubblicani.
Il fatto che solo un senatore, Thom Tillis (che ha appena annunciato il ritiro), abbia votato per mantenere la norma, è indicativo. Al contrario, emerge una nuova sensibilità tra i legislatori locali, che vedono nella regolazione dell’AI una questione di diritti civili, protezione dei cittadini, e difesa delle economie locali.
Cosa prevedeva la norma Usa sull’AI e perché era così importante per le Big Tech
La disposizione inserita nella riforma fiscale prevedeva che gli stati che ricevono finanziamenti per la banda larga dal programma federale da 500 milioni di dollari non potessero adottare leggi autonome in materia di intelligenza artificiale. In sostanza, si trattava di un vincolo indiretto ma potente, pensato per impedire che ogni stato adottasse regole diverse su temi caldi come i deepfake, la trasparenza degli algoritmi, la responsabilità dei modelli generativi.
Il Segretario al Commercio Howard Lutnick aveva sostenuto la misura, definendola “imperativa per la sicurezza nazionale” e uno strumento utile a “fermare l’offensiva normativa degli stati democratici” su leggi ritenute troppo restrittive. “Congelare la legislazione statale sull’AI senza un serio piano sostitutivo non è politicamente sostenibile”, ha replicato Brad Carson, presidente del gruppo Americans for Responsible Innovation, tra i più attivi nel promuovere una regolazione etica dell’AI.
Che cos’è l’Elvis Act e perché conta
Per capire meglio, vediamo l’Elvis Act (Ensuring Likeness, Voice, and Image Security Act).
Una legge del Tennessee che proibisce l’uso non consensuale di tecnologie di intelligenza artificiale per replicare la voce, l’immagine o lo stile di artisti e musicisti. Nasce in risposta all’aumento di contenuti deepfake, brani musicali generati con modelli vocali sintetici e imitazioni digitali che sfruttano la popolarità di artisti, vivi o defunti, senza autorizzazione. Il nome della legge rende omaggio a Elvis Presley, simbolo della musica americana e icona del Tennessee, la cui voce e immagine potrebbero oggi essere facilmente replicate da un modello AI. L’obiettivo è difendere i diritti dei creatori e tutelare l’identità artistica contro lo sfruttamento indiscriminato da parte delle piattaforme o di chi genera contenuti tramite modelli generativi.
L’Elvis Act e l’AI Act europeo, convergenze e divergenze nelle regole AI
Il caso dell’Elvis Act mostra come gli stati americani stiano cercando di colmare il vuoto federale con leggi settoriali e specifiche. In questo senso, l’Elvis Act condivide alcuni principi con l’AI Act europeo, pur in un quadro istituzionale molto diverso:
- entrambi intervengono per proteggere diritti fondamentali da possibili abusi legati all’intelligenza artificiale;
- agiscono ex ante, prevedendo divieti o limiti chiari (es. sull’uso non autorizzato di voci o immagini, oppure sulla classificazione del rischio);
- si pongono come strumenti di contenimento del potere delle piattaforme e degli sviluppatori di modelli generativi.
Mentre l’AI Act mira a creare una cornice armonizzata su scala europea, l’Elvis Act è una legge statale che rischia di entrare in conflitto con altri stati o con eventuali norme federali future.
Il futuro della regolazione dell’AI passerà anche dai territori
Se il Congresso continua a rimandare una legge federale sull’intelligenza artificiale, saranno i singoli stati a fare da laboratorio normativo. Non è detto che questo sia un male. In assenza di una governance chiara, l’AI rischia di diventare un terreno di scontro tra interessi privati e diritti collettivi.
L’episodio dell’Elvis Act, tra icone culturali, libertà economiche e tutela della voce, mostra che la governance dell’intelligenza artificiale è anche una questione culturale e identitaria e che le soluzioni, per fortuna, non possono essere dettate solo dalle grandi aziende tecnologiche.