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Whistleblowing: novità e difficoltà interpretative della nuova disciplina

L’impianto delineato dal decreto sul whistleblowing si caratterizza per una parziale duplicazione di contenuti normativi preesistenti a cui vengono collegati nuovi obblighi (presidiati da sanzioni), in assenza, tuttavia, di un vero sforzo di riorganizzazione armonica della disciplina complessiva. Il punto

Pubblicato il 10 Mag 2023

Francesco Lalli

Avvocato di DLA Piper

whistleblowing_ hacker

C’è voluto un po’ di tempo ma, attraverso la (faticosa) approvazione del D. Lgs. 24/2023, lo scorso marzo l’Italia si è finalmente adeguata alle prescrizioni della Direttiva europea (UE) 2019/1937 per garantire la massima protezione delle persone che intendono segnalare condotte illecite apprese nell’ambito dell’esercizio della loro professione, i cosiddetti whistleblowers.

Whistleblowing, come adeguarsi alle nuove norme: vademecum per privati

Gli obiettivi del decreto sul whistleblowing

L’impulso comunitario a cui il Legislatore italiano ha inteso dar seguito è quello di incentivare sempre più il ricorso al whistleblowing, che, alla luce delle osservazioni delle maggiori organizzazioni internazionali impegnate nel contrasto al malaffare, è da ritenersi uno fra gli strumenti più efficaci per la tutela della trasparenza e della legalità nelle dinamiche consociative.

La norma ha l’ambizione di portare a completamento un processo di riforma che l’Italia ha avviato da più di un decennio; dapprima rivolgendosi alla Pubblica Amministrazione e, a partire dal 2017, introducendo previsioni destinate anche gli enti che operano esclusivamente nel settore privato.

Negli intendimenti del Legislatore, il Decreto – che dovrebbe assurgere a unico corpus normativo, ispirato dai principi di universalità e massima tutela del segnalante – è stato concepito per non stravolgere la precedente normativa in materia, promuovendo, al contempo, sia un ampliamento degli ambiti di tutela che una parificazione, “a tendere”, della disciplina pubblicistica con quella privatistica.

In relazione alle diverse tipologie di destinatari, le nuove disposizioni entreranno definitivamente in vigore tra il luglio e il dicembre di quest’anno e saranno rivolte sia agli enti pubblici (ad esclusione dei comuni con meno di 10.000 abitanti) che agli enti privati con più di 50 dipendenti, ovvero a quelli che operano in alcuni settori ritenuti strategici (es. mercati ed intermediari finanziari, tutela dell’ambiente, trasporti ed infrastrutture) indipendentemente dal numero di dipendenti.

Le principali novità introdotte dal decreto

La disciplina delineata dal Decreto si presenta, a tratti, come una matassa di previsioni non facilmente districabile che, tuttavia, dovrà essere dipanata dagli operatori chiamati all’attuazione delle norme, anche a pena di significative sanzioni pecuniarie.

Proviamo, allora, a fare una panoramica delle maggiori novità introdotte dal Decreto.

Dalla facoltà all’obbligo per i privati

La prima grande novità, quantomeno per gli enti privati, va rinvenuta nell’obbligo (e non più nella mera facoltà) di istituire canali di segnalazione interna e di introdurre strumenti approntati alla concreta tutela dei segnalanti.

Per i privati, infatti, l’istituzione di tali sistemi era, sino ad oggi, rimessa alla libera scelta di dotarsi di un Modello di Organizzazione Gestione e Controllo, conformemente alle previsioni del D. Lgs. 231/2001. In altri termini, ai sensi della normativa appena richiamata (tutt’ora in vigore), l’ente nell’ambito del quale siano commessi dei reati può riuscire ad andare esente da conseguenze sanzionatorie se dimostra, fra l’altro, di aver introdotto efficaci protocolli di whistleblowing. I sistemi di whistleblowing previsti dal D.Lgs. 231/2001 – e, per gli aspetti fondamentali, richiamati anche dal nuovo Decreto – sono ritenuti idonei se garantiscono, attraverso canali informatici protetti, la riservatezza del segnalante, ponendolo al sicuro da qualsiasi conseguenza ritorsiva o discriminatoria legata alla segnalazione (da individuarsi ad esempio in licenziamenti, demansionamenti, pressioni ed attività di mobbing), anche attraverso l’introduzione di severe sanzioni disciplinari a carico di chi si rende responsabile della c.d. retaliation.

L’estensione oggettiva

Il Decreto estende il whistleblowing non solo alle “materie” di rilievo squisitamente penalistico già considerate dal D. Lgs. 231 (corruzione e frodi, in primis) ma anche a malpractice non necessariamente delittuose che incidono direttamente sugli interessi strategici comunitari (privacy, antitrust, tutela dell’ambiente), o a condotte che si assumono poste in essere in violazione degli standard etici a cui gli enti intendono spontaneamente aderire. Da quest’ultima prospettiva, il whistleblowing assume un ruolo cruciale anche per l’enforcement delle iniziative di Corporate Social Responsibility che sempre più caratterizzeranno lo standing degli operatori economici nel contesto globale. Da ultimo, il Legislatore si è premurato di specificare che, per gli operatori pubblici, le segnalazioni potranno riguardare, in via onnicomprensiva, ogni illecito amministrativo, contabile, civile o penale”.

Estensione soggettiva

Una delle principali innovazioni della Direttiva, prima, e del Decreto, poi, è data dall’estensione del novero di individui potenzialmente suscettibili di tutela. In questo senso, ad essere protetti dalle eventuali iniziative ritorsive non saranno solo pubblici dipendenti o i lavoratori subordinati nel settore privato, ma anche i lavoratori autonomi, i collaboratori a vario titolo, i liberi professionisti o consulenti che prestino la propria attività presso gli enti a cui si applica la norma, oltre che i colleghi e familiari della persona segnalante se impiegati nel medesimo contesto lavorativo e legati da un rapporto ‘qualificato’ con il whistleblower.

La gestione delle segnalazioni

L’aspettativa di un avvicinamento tra pubblico e privato sarebbe realizzata dal Decreto attraverso la definizione di una univoca modalità di gestione delle segnalazioni, prevedendo, infatti, che tutti gli enti (pubblici e privati) coinvolti dalla norma siano tenuti alla creazione di canali di segnalazione interna, che garantiscano, anche tramite strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità del segnalante e del contenuto della segnalazione, e che siano, altresì, affidati a uffici o persone interne, o ancora a soggetti esterni, purchè autonomi e specificamente formati. Il Decreto, inoltre, fissa stringenti regole su tempi e modalità con le quali le segnalazioni andranno gestite, introducendo sanzioni, anche significative, per gli enti che si renderanno inadempienti alle nuove previsioni.

Il canale di segnalazione esterna ed il ruolo dell’ANAC

Nella disciplina tracciata dal Decreto, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) assume un ruolo ancora più incisivo di quello che già gli spetta in forza dei suoi compiti e poteri istituzionali. L’Autorità sarà, innanzitutto, chiamata a gestire un canale di segnalazione “esterno” alle imprese, che i whistleblower potranno sempre utilizzare, anche (e soprattutto) laddove la segnalazione attraverso i canali “interni” non dovesse ottenere riscontro. L’ANAC sarà, poi, investita di incisivi poteri sanzionatori nei confronti di enti e soggetti che si renderanno responsabili di violazioni del Decreto.

L’extrema ratio della divulgazione pubblica

Un’ulteriore, dirompente, novità della disciplina va rinvenuta nella possibilità di rendere la segnalazione ‘pubblica’, attraverso i mass media o i social. L’extrema ratio è riconosciuta al segnalante qualora abbia, senza seguito, azionato i debiti canali interni ed esterni o, ancora, se abbia fondato motivo di ritenere che l’illecito denunciato possa costituire una minaccia concreta per l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato.

Le difficoltà interpretative

Seppur dall’approccio al Decreto traspaia, chiaramente, l’intenzione del Legislatore di pervenire ad una regolamentazione organica della materia del whistleblowing – finora rimessa al doppio binario pubblico-privato – la distinzione tra le diverse categorie di soggetti coinvolti nell’ambito applicativo della normativa, unitamente alla frammentazione degli illeciti oggetto di possibili segnalazioni da parte di ciascuna categoria di soggetti, finiscono per frustrare una simile intenzione di armonizzazione, richiedendo, piuttosto, un certo sforzo interpretativo per comprendere, in termini semplici, chi possa segnalare cosa e nell’ambito di quali contesti.

Senza entrare negli intricati dettagli della norma, è sufficiente considerare che si va dalla massima estensione della portata applicativa del Decreto che, nei soggetti pubblici, come visto, garantisce la protezione del whistleblower a fronte della legittima segnalazione di “ogni illecito amministrativo, contabile, civile o penale”, agli angusti ambiti di tutela riservati ai segnalanti che operano negli enti privati con meno di 250 dipendenti, non dotati di Modello, rispetto ai quali la protezione si attiverebbe solo a fronte della segnalazione di illeciti rilevanti per i settori strategici dell’UE, tra l’altro, non individuati in maniera chiara e puntuale nel testo della norma, ma desumibili solo attraverso un complicato rimando alle previsioni dell’allegato alla norma.

Dunque, al di là degli auspici che hanno accompagnato la riforma, permane, innanzitutto, un forte sbilanciamento tra le tutele previste per il settore pubblico e quelle rilevanti per il settore privato, rispetto al quale residuano, tutt’ora, numerosi “coni d’ombra”.

Suscita perplessità, inoltre, anche la decisione di non attribuire esclusivamente ad un soggetto autonomo ed indipendente – quale l’Organismo di Vigilanza, quantomeno per gli enti dotati di Modello – la gestione del canale di segnalazione interna agli enti; il Legislatore avrebbe, così, fornito una preziosa indicazione di raccordo fra la disciplina del whistleblowing che sopravvive nel microcosmo delle previsioni del D.Lgs. 231 e quella delineabile, nel complesso, dalle prescrizioni del Decreto.

Il Legislatore ha, poi, perso l’occasione per far definitiva chiarezza rispetto alle incertezze (ormai risalenti e mai completamente dissolte) circa le concrete modalità di gestione ed utilizzo del canale di segnalazione interna: il riferimento, privo di particolare approfondimento, agli strumenti di crittografia impedisce, infatti, di comprendere l’effettiva modalità di impiego delle tecnologie informatiche, e ciò anche al fine di garantire la riservatezza e la protezione dei dati personali, in ossequio alle previsioni che il Decreto stabilisce a tali fini.

Ancora, persistono le perplessità già segnalate a seguito dell’approvazione dello schema di decreto da parte di Confindustria circa la gestione delle segnalazioni interne nelle dinamiche di corporate governance dei gruppi di imprese, appurato che nè la Direttiva, nè il Decreto si pronunciano sul punto.

Conclusioni

In definitiva, l’impianto delineato dal Decreto si caratterizza per una parziale duplicazione di contenuti normativi preesistenti (quantomeno per buona parte degli enti privati) a cui vengono collegati nuovi obblighi (presidiati da sanzioni) in assenza, tuttavia, di un vero sforzo di riorganizzazione armonica della disciplina complessiva.

A fronte di simili presupposti, nell’auspicio che il Legislatore torni sulla materia per far fronte alle distonie della norma, le indicazioni operative che gli “addetti ai lavori” (ANAC e Confindustria in primis) sapranno fornire ai destinatari del Decreto si riveleranno quantomai indispensabili.

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