Le startup italiane vivono un paradosso: crescono nei numeri ma faticano a fare il salto di qualità necessario per competere in Europa. Nonostante l’aumento degli investimenti, persistono divari strutturali che limitano il potenziale innovativo del Paese.
Indice degli argomenti
La crescita quantitativa delle startup italiane senza salto qualitativo
Una macchina sofisticata. Un sistema fatto di eccellenze nella ricerca, nella manifattura avanzata, nella robotica e nella biotecnologia. Luci che illuminano, ma che non dissipano le ombre.
Il nostro ecosistema dell’innovazione è sì una macchina sofisticata, ma con il freno a mano tirato. Nonostante i numeri positivi nel volume degli investimenti in startup nei primi sei mesi del 2025 (+38,8% con circa 345 milioni raccolti in 99 round: secondo i dati presentati da Startupitalia al recente SIOS Torino), c’è un divario sempre più profondo con il resto d’Europa. E non parliamo solo dei tedeschi e dei francesi, in cui le startup rispettivamente hanno raccolto 1,6 e 1,3 miliardi (dati Dealroom) e solo nei primi tre mesi dell’anno! Ma anche rispetto a Paesi che sono più prossimi a noi, come la Spagna, che ha già abbondantemente superato il miliardo (dati Crunchbase).
I dati che vogliamo porre in analisi oggi fotografano una crescita quantitativa, ma mostrano al contempo molte potenzialità inespresse, che rischiano di restare tali se non accompagnate da un cambio di rotta. Un cambiamento che leghi strategia industriale, capitale umano, infrastrutture digitali e una maggiore attrattività del Paese per i capitali internazionali. Non è più tempo di scegliere. L’innovazione non è un’opzione: nel contesto geopolitico ed economico attuale, diventa una condizione di sopravvivenza.
Le startup italiane e la difficoltà nel raccogliere capitali significativi
Il nodo è la capacità di scalare. Per farlo, le startup hanno bisogno di raccogliere round milionari, soprattutto quelle che operano in settori sensibili come deeptech, AI e biotech, nei quali il tempo dall’idea all’immissione del prodotto/servizio sul mercato può essere molto lungo: solo l’11% dei round superano i 9 milioni di euro, mentre prevalgono per il 60,61% operazioni al di sotto di questa soglia.
Tra i round di rilievo, i 25 milioni raccolti dalla deeptech CamGraphic, i 15 milioni della biotech Tethis, i 15 milioni ottenuti dalla software company Subbix, nonché i 14 milioni della biotech Tensive e i 13,6 milioni di Newronika, anch’essa attiva nel settore biotech.
Il divario territoriale che penalizza le startup italiane del Sud
Su 99 round, il 45,45% è finito nelle casse delle startup lombarde. Molto staccate le altre regioni del Nord (Toscana, Emilia, Veneto). E il Sud? Non pervenuto. Anche se la Campania è la seconda regione in Italia per numero di startup iscritte al registro per le imprese, solo due round hanno avuto come protagoniste startup campane. Gli incubatori sono spesso deboli, e la figura del business angel – cruciale nella fase iniziale – è pressoché assente.
Al Nord, invece, esistono network consolidati, club deal, e fondi locali capaci di attivare investimenti significativi. La conseguenza è che molte idee brillanti nate al Sud emigrano altrove. Una delle priorità deve essere la costruzione di nodi territoriali di innovazione, capaci di attrarre non solo risorse economiche, ma anche competenze, mentori, e accesso ai mercati. Il Sud ha bisogno di centri propulsori, veri e propri ecosistemi di innovazione a impatto locale e visione globale. Napoli, Bari, Palermo e Cagliari, sono città che già oggi ospitano esempi positivi, ma serve continuità, coordinamento e soprattutto una volontà politica e imprenditoriale di lungo periodo.
Come le startup italiane rischiano di perdere la sfida dell’AI
Gli investimenti in AI vivono la loro fase d’oro, come prevedibile. Secondo i dati di Dealroom, nel primo trimestre del 2025 le startup europee dell’AI hanno raccolto circa il 55% in più di capitali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’Europa non sta solo investendo, ma prova con lentezza e tra mille complessità a costruire dei modelli alternativi. D’altronde, in USA si gioca un’altra partita: solo OpenAI ha ottenuto un round di 40 miliardi di dollari. Tuttavia, qualcosa si muove in Europa: la francese Mistral AI, la tedesca Black Forest Labs, e la spagnola Luzia*, sono solo tre esempi di scaleup che hanno ormai attratto l’attenzione della stampa e soprattutto degli investitori internazionali. Anche qui l’Italia stenta a entrare nella partita. Eppure, il successo della cinese Deepseek ha dimostrato che si può fare bene anche senza avere capitali illimitati. E anche se l’AI sta già moltiplicando le capacità operative di startup e aziende, serve tuttavia una scossa sistemica. Come fa notare, sempre su Startupitalia, Paolo Barberis founder di Nana Bianca:
«Non è semplice giocare questa partita globale se non si riesce a diventare originatori di tecnologie, creatori di applicazioni AI-first e non solo utilizzatori. I grandi modelli fondativi dell’AI non sono italiani, e la nostra capacità di posizionarci come player globali è messa a dura prova. Eppure, il potenziale c’è: basterebbe una visione industriale chiara, incentivi forti e continui, e una reale consapevolezza politica del momento. Il Paese deve dimostrare un’attenzione strategica perché non siamo solo in ritardo: rischiamo che questa diventi un’emergenza nazionale».
Come non sottoscrivere le sue parole?
I casi di successo europei che le startup italiane dovrebbero emulare
Epp non mancano in Europa i casi di success cui l’eistema nostrano debbe guardare.
Mistral AI (Francia – Parigi)
Nata nel 2023 da un gruppo di ex ricercatori di Google DeepMind e Meta, Mistral AI si è rapidamente affermata come uno dei principali attori europei nell’ambito dell’intelligenza artificiale generativa. L’azienda sviluppa modelli open source specializzati nell’elaborazione del linguaggio naturale e nella gestione di problemi complessi. Con un finanziamento complessivo di 1,1 miliardi di euro, ha lanciato soluzioni come Mistral 7B, Mixtral 8x7B e Mistral Large 2, progettate per utilizzi aziendali e da parte di sviluppatori. La trasparenza, l’efficienza e la filosofia open ne fanno un punto di riferimento nel panorama AI europeo.
Black Forest Labs (Germania – Friburgo in Brisgovia)
Avviata nel 2024, Black Forest Labs si concentra sull’AI generativa per la creazione di immagini e video in alta definizione. Ha ottenuto 28 milioni di euro di investimenti per rendere i tool creativi accessibili a un pubblico ampio. Tra le tecnologie sviluppate, spiccano FLUX 1.1 Pro e strumenti come Fill, Depth e Canny, già integrati in piattaforme popolari come Replicate, Together.ai e Freepik. La missione della startup ruota attorno alla democratizzazione dell’intelligenza artificiale e alla massima trasparenza.
Luzia (Spagna – Madrid)
Luzia è un assistente personale AI integrato in WhatsApp, progettato per semplificare attività quotidiane attraverso interazioni testuali o vocali. Lanciata nel 2023, la startup offre funzioni come la trascrizione di messaggi audio, la traduzione di testi e la generazione di contenuti tramite chatbot. Ha già superato i 40 milioni di euro in raccolta fondi, con l’obiettivo di rendere l’AI accessibile a tutti, mantenendo alta l’attenzione su privacy e facilità d’uso.
.L’importanza delle fusioni per le startup italiane
Le piccole startup italiane spesso sopravvivono senza crescere. Ma senza acquisizioni e fusioni, l’ecosistema resta fragile e polverizzato.
Le operazioni di M&A possono rappresentare una chiave fondamentale per la crescita dell’ecosistema, sia come strategia di consolidamento che come exit strategy per investitori e fondatori. In Italia, però, manca ancora una cultura dell’integrazione. Spesso le startup si percepiscono come isole, quando invece dovrebbero ragionare in logica di filiera, alleanze e crescita comune. Anche il ruolo delle PMI tradizionali può essere ripensato: non solo potenziali competitor, ma partner industriali con cui integrare tecnologia e processi.
Il sistema dell’innovazione italiano ha fatto passi avanti, ma è ancora distante dal ritmo necessario per competere su scala globale. I numeri crescono, ma non basta. Le energie ci sono, i talenti pure. Servono scelte coraggiose, strumenti semplici, e un cambio di mentalità collettivo. E serve farlo ora. Perché il futuro, se non si costruisce insieme, rischia di essere progettato altrove.
La necessità di una visione comune per le startup italiane
Ha ancora senso oggi parlare di una startup tedesca, francese o italiana, o dovremmo ragionare in ottica europea per competere con il mercato americano?
Per arrivare a questa visione è necessario partire da regole comuni. Gianluca Dettori presidente di Primo Capital già da tempo propone un “Delaware europeo”, un “29esimo regime”: un framework legale omogeneo, con regole comuni su fiscalità, stock option, fallimenti. Un sistema in grado di attrarre investitori, anche dall’estero, e semplificare la vita a chi fa impresa. Perché se oggi i fondi pensione europei investono per lo 0,1% nel VC europeo, è chiaro che il sistema non funziona. Serve uno spazio regolamentare che unisca, e non divida, le nazioni dell’UE. Proprio come accade negli USA con il Delaware.
La proposta del “29esimo regime” non è solo un tecnicismo giuridico: è una scelta politica e strategica. Vuol dire scegliere di costruire un’Europa competitiva, in cui fare impresa non sia più un ostacolo, ma una possibilità reale. Serve un quadro chiaro per le exit, regole omogenee per le stock option, procedure rapide per le autorizzazioni. Solo così l’Europa può diventare un luogo fertile per chi vuole fare innovazione.
Altrimenti continueremo a essere un mercato di consumo per le startup nate altrove.