Il 2025 avrebbe dovuto segnare la ripartenza del venture capital globale, dopo due anni di rallentamento. E invece no. I segnali che arrivano dal mercato tech – soprattutto per le startup early stage – raccontano tutt’altro scenario: concentrazione dei capitali, maggiore prudenza da parte degli investitori e un ritorno del protezionismo economico.
A rimescolare le carte ci ha pensato l’amministrazione Usa con l’introduzione, ad aprile, di una nuova ondata di dazi. Una mossa che ha avuto ripercussioni immediate su supply chain, costi di produzione e, soprattutto, sull’appetito per il rischio. E che rischia di frenare ulteriormente quella ripresa che tutti attendevano.
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Lo scenario VC globale e le distorsioni del primo trimestre 2025
Il primo trimestre dell’anno si era aperto con un dato apparentemente positivo: oltre 113 miliardi di dollari investiti in startup a livello globale (fonte: Crunchbase). Ma c’è un dettaglio che cambia tutto: ben 40 miliardi di quei 113 provengono da un singolo round, quello record di OpenAI, che segna la più grande raccolta privata della storia.
Al netto di questo evento eccezionale, il mercato resta piatto rispetto al 2024, con un leggero calo rispetto al trimestre precedente. Una fotografia che conferma la tendenza alla polarizzazione: i capitali si concentrano sempre di più su pochi player consolidati, mentre per le startup in fase seed o pre-seed le porte restano quasi chiuse.
Anche sul fronte delle exit la situazione è ferma: IPO rimandate, poche acquisizioni, scarsa liquidità per gli LP. Il rischio oggi si misura su un doppio asse: finanziario e geopolitico.
Il ritorno dei dazi e l’incertezza globale
Ad aprile 2025 gli Stati Uniti hanno introdotto dazi generalizzati del 10% su tutte le importazioni, con punte fino al 145% su determinati beni provenienti dalla Cina. L’Europa ha risposto minacciando misure simmetriche, con tariffe fino al 20% su alcuni prodotti americani. Le borse hanno reagito male, con giornate di forti ribassi.
Il risultato? Una media tariffaria USA passata in poche settimane dal 2,4% al 10,1%, con aumenti immediati tra il 10 e il 25% sui prezzi di semiconduttori, batterie ed elettronica. A pagare il conto più salato sono state – ancora una volta – le startup: più costi, meno visibilità sulla supply chain, e una nuova ondata di incertezza che ha raffreddato il mercato dei capitali.
Europa sotto pressione: meno capitali, più fragilità
Il contraccolpo per l’Europa è doppio. Da un lato, l’instabilità globale sta rallentando i flussi di capitali cross-border: nel Q1 2025 la quota europea sul totale globale è scesa all’11%, contro il 16% del 2024 (fonte: Crunchbase). Dall’altro, i fondi americani stanno ritirando il piede dal continente: già tra il 2023 e il 2024 gli investimenti USA nelle startup europee erano calati del 24% (fonte: Politico.eu), e oggi molti fondi preferiscono rimanere alla finestra, attratti dagli incentivi domestici come l’IRA e il CHIPS Act.
Intanto, anche il fundraising dei fondi VC rallenta: nel Q1 solo 10 miliardi raccolti da 87 fondi (fonte: PitchBook). Proiettando questo ritmo sull’intero anno, il 2025 rischia di diventare il peggior anno dell’ultimo decennio per i nuovi fondi. I general partner iniziano ad accumulare dry powder, allungano i tempi di deployment e guardano sempre più al mercato secondario come valvola di liquidità.
Dazi e startup: chi soffre e chi resiste
Le più colpite sono le startup hardware, cleantech e deeptech, che dipendono da fornitori internazionali e materiali critici. In questi settori, i costi aumentano, le tempistiche si allungano, e le valutazioni si comprimono. Alcune startup posticipano il round, altre devono rivedere i piani di crescita.
Reggono meglio le startup software, SaaS e AI, considerate meno esposte agli shock esterni e più leggere in termini di struttura. Nel Q1 2025, il 71% dei capitali VC USA è andato verso startup AI (fonte: The Lowdown Blog), trainate da colossi come OpenAI e Anthropic. Ma anche qui emergono rischi: i dazi su chip avanzati potrebbero rallentare anche la corsa dell’intelligenza artificiale.
Adattarsi (in fretta): le strategie di startup e investitori
In questo contesto, le startup stanno reagendo. Molte rivedono la catena di fornitura, riportano parte della produzione vicino ai mercati di riferimento (reshoring o near-shoring), diversificano i fornitori. I pitch diventano più prudenti: focus su efficienza, automazione, ottimizzazione dei costi.
Anche i VC si muovono su due binari. In chiave difensiva: rallentano gli investimenti, proteggono il portafoglio esistente, aspettano segnali di stabilità. In chiave offensiva: cercano opportunità nei nuovi bisogni creati proprio dalla crisi. Crescono le startup che offrono soluzioni logistiche intelligenti, marketplace di fornitori locali, tool per la compliance doganale, microfabbriche di chip, recycling delle batterie, o soluzioni fintech per l’hedging dei dazi. Come ogni crisi, anche questa sta creando nuove nicchie. Chi saprà intercettarle potrebbe ritrovarsi protagonista della nuova stagione VC post-2025.
Crowdfunding e dazi: la reazione dei piccoli investitori
Nel frattempo, il mercato del crowdfunding regolamentato (Reg CF) negli Stati Uniti ha offerto un segnale interessante. Dopo un febbraio debole, marzo e aprile hanno mostrato una netta ripresa: oltre 44 milioni di dollari raccolti al mese da piattaforme come Wefunder, StartEngine e Republic (fonte: KingsCrowd).
Eppure, l’annuncio dei dazi ha avuto un impatto inizialmente negativo: tra marzo e l’inizio di aprile, gli investimenti sono calati del 24% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre il numero di nuove campagne è crollato del 40% (fonte: Crowdfund Capital Advisors). Poi, grazie a un congelamento temporaneo delle misure da parte dell’amministrazione americana, il mercato ha ripreso fiato.
A fine aprile, molte campagne sono tornate a chiudere positivamente, con un focus crescente su progetti Made in USA e climate tech, considerati più resilienti in un contesto geopolitico incerto. Le piattaforme si confermano così una valida alternativa in tempi di volatilità: democratizzano l’accesso al capitale e attraggono community di investitori retail orientati al lungo termine. Anche in Europa si guarda con attenzione a questa evoluzione: modelli come quelli di Crowdcube o SeedBlink puntano sempre più su sinergie tra fondi VC, angel investor e community retail. Una strada interessante per compensare la stretta del capitale istituzionale e rendere il fundraising più inclusivo e antifragile.
Cosa aspettarsi nei prossimi mesi
I prossimi mesi saranno cruciali. Se i dazi venissero congelati o rinegoziati, il mercato potrebbe lentamente tornare a respirare. In caso contrario, l’Europa sarà chiamata a fare un salto di maturità, costruendo un ecosistema più autonomo e competitivo, meno dipendente dalle rotte globali e più focalizzato sull’innovazione domestica.
Nel breve periodo, ci aspettano round più piccoli, investimenti più selettivi e un’attenzione crescente verso settori software-driven. Le startup più penalizzate saranno quelle più esposte a livello internazionale, con supply chain complesse o forti dipendenze da materie prime e hardware.
Il venture capital è, per definizione, abituato al rischio. Ma nel 2025, il rischio è prima di tutto geopolitico. E richiederà non solo capitali, ma anche visione, flessibilità e collaborazione tra founder, investitori e policy maker. Il futuro del tech europeo si giocherà anche su questo fronte.