L’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole della comunicazione digitale. L’ascesa vertiginosa dei chatbot basati su AI generativa, come ChatGPT, sta spingendo milioni di utenti ad abbandonare i motori di ricerca tradizionali per affidarsi a strumenti conversazionali, più sintetici e personalizzati. Ma l’attenzione non deve concentrarsi su ciò che si perde: è sulle opportunità e le soluzioni che i marketing manager devono focalizzarsi oggi.
Dall’ottimizzazione dei contenuti all’integrazione con chatbot e API, che andranno presto oltre i siti internet, passando per la ridefinizione delle metriche, dei linguaggi e dello storytelling (anche social): ecco le soluzioni concrete che gli uffici marketing e comunicazione delle aziende e dei loro brand devono adottare per essere rilevanti nei nuovi ecosistemi dominati dall’intelligenza artificiale.
Secondo Luca Pelati, CEO della digital agency Ventie30, siamo in un turning point, un vero cambio di paradigma.
“L’intelligenza artificiale non è più un’aggiunta. È un’infrastruttura, un layer base che impatta design, contenuti, customer journey e perfino le scelte strategiche. È tempo di ripensare da zero come i brand comunicano, ascoltano e funzionano”, afferma Pelati.
Come riportato dal Financial Times in un recente articolo a firma di Cristina Criddle, le agenzie digi tech, soprattutto statunitensi, hanno già messo in campo soluzioni martech per permettere alle aziende ed ai loro brand di fronteggiare il cambio paradigma, ma la sfida è prima di tutto strategica.
“Siamo dentro a una trasformazione digitale che va ben oltre il passaggio al cloud o all’e-commerce. Qui si tratta proprio di ripensare da zero come le aziende comunicano, ascoltano e funzionano” spiega Pelati.
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La fine delle keyword, ecco le risposte chiave
I motori di ricerca tradizionali, a lungo considerati l’unica via per intercettare i consumatori, stanno perdendo centralità. Per essere rilevanti nei nuovi motori conversazionali, i brand devono passare dal SEO tradizionale alla conversazione strutturata. Anche se molti esperti SEO non sono d’accordo gli sforzi e gli investimenti devono andare in un’altra direzione. È necessario costruire knowledge base leggibili per l’AI, in formati semantici aperti, che rendano le informazioni aziendali accessibili e comprensibili per i modelli linguistici.
Booking, uno dei più grandi marketplace di viaggi al mondo, ha annunciato una collaborazione con OpenAI per rendere i suoi contenuti facilmente interpretabili dalle AI, con schede dettagliate su destinazioni e strutture, pensate non solo per gli utenti umani, ma anche per i modelli linguistici di grandi dimensioni e i loro motori di ricerca. Il team di Booking ha messo a disposizione i dati proprietari su strutture, prezzi e disponibilità per realizzare il Trip Planner basato sull’intelligenza artificiale si è ampliato per gestire richieste più complesse e una personalizzazione più approfondita.
“Le aziende devono trattare la propria conoscenza come un asset strategico”, spiega Pelati. “Organizzarla in modo leggibile per le macchine: ontologie, formati semantici, fonti certificate. È un cambio di mentalità: la conoscenza aziendale non è più solo un archivio interno”.
Da brand a fonte: non più solo SEO, ma “source optimization”
Nel nuovo ecosistema dell’informazione generata dall’intelligenza artificiale, le aziende devono diventare la fonte da cui l’AI attinge. Non è più sufficiente essere ottimizzati per la SERP: bisogna trasformarsi in fonte primaria, certificabile e strutturata. Un concetto che Google ha formalizzato nel brevetto “Generative Summaries for Search Results”, in cui le SERP diventano sintesi di contenuti credibili e coerenti.
Diventare fonte significa costruire autorevolezza di brand e semantica. È la nuova frontiera dell’ottimizzazione: non più solo SEO, ma “source optimization”.
In questo gioca un ruolo determinante la comunicazione attraverso ricerca sul linguaggio (chiaro e diretto) contenuti di qualità che dimostrino l’autorevolezza dell’azienda e dei suoi brand e campagne mirate, ma anche strategie di co-branding, collaborazioni tra brand, strategie di employer branding e la costruzione di relazioni.
API, plugin, interfacce: entrare nella conversazione
Un’altra direzione è l’integrazione nativa. Alcune aziende stanno sviluppando plugin o API per consentire ai modelli AI di accedere direttamente ai propri servizi.
Klarna, ad esempio, ha integrato ChatGPT per offrire suggerimenti d’acquisto personalizzati. Risultato: riduzione del 25% delle richieste ripetute e miglior engagement con pubblici internazionali.
Klarna, infatti, è diventata la prima fintech globale, e la prima azienda in Europa, a utilizzare un “plug-in” di ChatGPT per integrare il modello linguistico di OpenAI nei propri sistemi, offrendo agli acquirenti consigli personalizzati su tutto, dalle sneaker ai telefoni cellulari, attraverso un’interfaccia conversazionale incentrata sul budget e sui gusti del consumatore.
L’assistente virtuale di Klarna, si legge in una nota dell’azienda, è più accurato nella risoluzione delle commissioni e dei problemi posti tramite ed ha portato notevoli miglioramenti nella comunicazione con le comunità grazie al supporto linguistico.
Garantire risposte tempestive, coerenti e allineate con il tono di voce aziendale, riducendo tempi di attesa e migliorando l’engagement sono i punti di forza di un’application programming interface (API) di intelligenza artificiale generativa. Le API potrebbero ben presto superare i siti internet in termini di utilità per le aziende e i loro brand.
Contenuti AI-ready: la riscoperta dell’editorialità
Per emergere nell’informazione sintetizzata dall’AI, servono contenuti originali, di qualità e ben strutturati. L’era dei contenuti AI-ready impone la riscoperta dell’editorialità: white paper, ricerche originali, infografiche animate, tutorial.
Le aziende che decidono di diventare vere e proprie media company, capaci di creare contenuti ben indicizzabili e affidabili, ottengono un vantaggio competitivo importante. I contenuti firmati, magari da esperti anche esterni all’azienda ma riconoscibili, arricchiti da metadati e pubblicati su canali transmediali sono quelli che verranno selezionati dalle AI.
In questa ottica sta acquisendo sempre più rilevanza strategica il blog aziendale. Uno degli strumenti più efficaci per farsi trovare sia dagli utenti che dagli strumenti di intelligenza artificiale e la serialità sia per quanto riguarda video o format che per uno strumento ritornato in auge come la newsletter aziendale.
La nuova grammatica dei social: come ripensare la presenza dei brand
“Già da tempo stiamo assistendo ad un cambiamento dei social. Li utilizzavamo per condividere e relazionarci, ora il 60% del tempo che spendiamo su Facebook e Instagram è per i video. Ci siamo già spostati sui social per intrattenimento e informazione”.
Un aspetto del quale i marketer non possono non tenere conto. Inoltre, lo sviluppo dei sistemi di AI già disponibili negli ambienti social richiede alle aziende ed ai loro brand una presenza diversa. “Da anni le piattaforme stanno investendo in IA. Meta ha lanciato la sua piattaforma di AI stand alone up grazie alla quale gli utenti potranno andare a richiedere informazioni, confrontarsi, ampliare le proprie conoscenze usare i social come vero e proprio assistente virtuale” conclude Gentili.
In questo scenario, i brand devono ripensare la propria presenza sui social: contenuti brevi, rilevanti, facilmente comprensibili anche per le AI. È necessario adattare tono, formato – anche testuale – e distribuzione per andare incontro ad un nuovo paradigma di interazione.
L’era del post click: ripensare SEO e SEM in chiave AI-mediated
Non contano più solo impression e click. Le nuove metriche misurano rilevanza, qualità dell’interazione e valore percepito. Agenzie come Profound e Brandtech stanno già sviluppando software per tracciare la presenza dei brand nei risultati delle AI.
Secondo una ricerca di Bain, l’80% dei consumatori si affida ai chatbot AI per almeno il 40% delle loro ricerche. In Italia, secondo Pelati, “ci sono aziende molto avanti che stanno già ripensando SEO e SEM in chiave AI-mediated, ma la maggior parte è ancora indietro, sia per competenze che per budget. Il problema non è solo tecnico, è culturale. Serve un cambio di mentalità”.
Una trasformazione strategica, non un problema
La ricerca tradizionale è stata uno dei più grandi monopoli nella storia di internet ha detto James Candwallader, cofondatore di Profound, al Financial Times, ma analizzando le soluzioni strategiche per permettere alle aziende ed ai loro brand di essere rilevanti nelle nuove ricerche tramite intelligenza artificiale generativa possiamo dire di essere giunti alla fine dell’era del search tradizionale?
“Non ancora”, dice Pelati. “Ma Google ha già iniziato a trasformarsi. Con la Search Generative Experience è iniziata l’era della ricerca aumentata dall’AI. Non cerchiamo solo: conversiamo, otteniamo risposte, esperienze. È una trasformazione da guidare, non da subire”.
Intanto i motori di ricerca diventano conversazioni. I link si trasformano in risposte. Il marketing si fa interattivo, contestuale, conversazionale. Per emergere, i brand non devono più solo gridare forte. Devono parlare bene. Essere utili, seri, presenti senza essere invadenti.
Il marketing diventa conversazionale, dinamico, semantico. I brand non devono più solo farsi trovare dai motori di ricerca, ma devono saper rispondere, conversare, essere fonti affidabili per l’AI.
E devono farlo parlando il linguaggio delle macchine. Solo così potranno restare rilevanti nell’era dell’intelligenza artificiale