Pechino detiene un controllo quasi assoluto su terre rare e minerali critici. Ha costruito questa egemonia con capacità, ingenti investimenti pubblici e una strategia aggressiva, che include spionaggio industriale, reti criminali e sfruttamento di manodopera, oltre a rigide restrizioni all’export.
Indice degli argomenti
La strategia cinese e l’errore occidentale sulle terre rare
Questo dominio esercita una soffocante leva geoeconomica sull’Occidente, minacciandone sicurezza nazionale e competitività tecnologica. I recenti accordi sono solo precarie illusioni che non scalfiscono la presa cinese. La vulnerabilità occidentale, frutto di errori strategici passati, impone una reazione urgente di fronte a una situazione drammatica.
Il controllo cinese sulle terre rare è una minaccia diretta e multiforme. Dalla metà del 2025, questa strategia è entrata in una fase significativamente più aggressiva e sofisticata. Non sono più semplici restrizioni, ma una miscela letale di pressione mirata, leva finanziaria occulta, tattiche aggressive di estrazione di dati, e una pervasiva campagna di spionaggio industriale e controspionaggio.
Questo include il furto di proprietà intellettuale nel settore critico delle terre rare e delle tecnologie ad esse connesse, l’infiltrazione nelle infrastrutture strategiche, e la compromissione della sicurezza nazionale attraverso reti complesse, attori statali e entità che operano al limite della criminalità organizzata. Tale strategia è amplificata dallo sfruttamento disumano del personale (fino a condizioni assimilabili alla riduzione in schiavitù) nelle miniere estere e dal riciclaggio di denaro derivante da operazioni illecite. Non è una questione commerciale. È una leva geoeconomica brutale, orchestrata con meticolosa precisione.
Pechino brandisce questa clava contro Stati dipendenti, influenzando mercati, tecnologie critiche e decisioni politiche globali attraverso una strategia di “soffocamento controllato”.
Proviamo allora a capire come la Cina ha sistematicamente acquisito un dominio quasi totale sull’intera catena del valore delle terre rare: dall’estrazione mineraria più grezza, alla raffinazione complessa e alla lavorazione avanzata. Oltre a puntare un faro sui catastrofici errori strategici commessi dall’Occidente – decenni di delocalizzazione acritica e abbandono degli investimenti in ricerca e sviluppo e di sussidi pubblici – che hanno permesso questa dipendenza unilaterale, con il risultato di un ritardo tecnologico di almeno dieci anni.
L’indispensabilità strategica delle terre rare: il tallone d’Achille tecnologico dell’Occidente
Gli elementi delle terre rare (REEs), 17 metalli cruciali, sono le fondamenta della tecnologia moderna. Nonostante la loro relativa abbondanza geologica, la loro “rarità” risiede nell’estrema difficoltà e negli elevati costi di estrazione e raffinazione. Le loro proprietà uniche li rendono insostituibili per un’ampia gamma di applicazioni ad alta tecnologia. Senza di essi, smartphone, veicoli elettrici, energie rinnovabili, processori AI, sistemi di difesa avanzati sono paralizzati.
La loro importanza economica supera il mero valore di mercato. Il mercato globale delle terre rare, stimato in $792,52 milioni nel 2024, con proiezioni di $1.024,64 milioni entro il 2033, è solo la punta dell’iceberg. Il loro ruolo nelle industrie a valore aggiunto genera un impatto moltiplicatore devastante. Neodimio e praseodimio sono essenziali per i magneti permanenti, cuore di motori EV e turbine eoliche. Disprosio e terbio ne migliorano le prestazioni in condizioni estreme, vitali per applicazioni militari e aerospaziali.
Il settore della difesa è particolarmente esposto. Jet da combattimento (un F-35 contiene quasi 417 kg di REE), sistemi missilistici, radar e tecnologie stealth dipendono da questi materiali. Sottomarini classe Virginia e sistemi antimissile come il THAAD ne richiedono leghe specializzate per operare. La transizione energetica globale, con l’obiettivo di azzerare le emissioni entro il 2050, dipende da questi elementi. La domanda di REE per tecnologie pulite potrebbe quadruplicare entro il 2040 (IEA).
Oltre difesa ed energia, le terre rare sono centrali in elettronica di consumo, intelligenza artificiale, 5G e calcolo quantistico. Interruzioni nella loro fornitura hanno un effetto domino su molteplici settori. Questa combinazione di indispensabilità tecnologica e concentrazione produttiva crea un rischio asimmetrico. Le terre rare hanno pochi sostituti. Sviluppare catene alternative richiede anni di investimenti massivi, complesse approvazioni e competenze tecniche avanzate. Per i mercati finanziari, questa fragilità significa vulnerabilità delle supply chains, volatilità dei prezzi e premi di rischio geopolitici. L’embargo cinese al Giappone del 2010 lo ha dimostrato: i prezzi dei REE sono schizzati.
La Cina controlla l’85-90% della capacità di raffinazione e circa il 70% della produzione totale. Questa leva consente a Pechino di influenzare priorità produttive, prezzi e negoziati diplomatici. È un fattore di rischio geopolitico per gli Stati dipendenti. È anche un’opportunità per chi investe in esplorazione, riciclo e catene alternative fuori dalla Cina.
L’ascesa industriale cinese e la dipendenza occidentale
Il dominio cinese nelle terre rare è un caso di studio in strategia industriale a lungo termine. È stata eseguita con precisione e pazienza decennale. Mentre l’Occidente si è spostato verso industrie ad alto valore e ha delocalizzato la manifattura pesante, Pechino ha adottato una visione contraria. Già a fine anni ’70, la Cina ha identificato le terre rare come priorità nazionale assoluta. Sotto Xu Guangxian, padre dell’industria cinese delle terre rare, e con il sostegno della Chinese Society of Rare Earth, il paese ha investito ingenti risorse statali in estrazione, raffinazione e separazione.
Pechino ha tollerato gravi impatti ambientali. Mentre l’Occidente ha inasprito gli standard, la Cina ha permesso alle sue aziende di crescere rapidamente, senza vincoli e costi. Questo ha garantito costi di produzione imbattibili. Le aziende occidentali hanno esternalizzato la raffinazione in Cina. Questo processo ha svuotato le industrie domestiche di terre rare negli USA, Giappone ed Europa. Le catene di approvvigionamento globali sono diventate intrinsecamente dipendenti dalla Cina.
La Cina non si è fermata all’estrazione, dove detiene circa il 70% della produzione globale. Il governo ha investito massicciamente nella padronanza dei complessi processi di raffinazione e separazione. Hanno trasformato i minerali grezzi in ossidi di alta purezza e leghe specializzate. Oggi, oltre l’85% della capacità globale di raffinazione delle terre rare è in Cina. Questa integrazione verticale permette a Pechino di controllare prezzi e expertise tecnologico. Crea barriere all’ingresso quasi insormontabili.
L’errore strategico occidentale è stato duplice: da un lato, l’aver cessato gli investimenti pubblici in ricerca di base, sviluppo industriale e di sussidi pubblici dagli anni ’80; dall’altro, l’aver consentito la delocalizzazione completa di queste fasi critiche della catena del valore. Questo ha lasciato l’Occidente in una posizione di gravissima vulnerabilità, con un ritardo stimato da alcuni analisti in almeno dieci anni in termini di investimenti e capacità tecnologiche per ricostruire filiere indipendenti. USA ed UE dipendono strategicamente da un’ampia gamma di minerali critici. Il 98% della fornitura di terre rare dell’UE proviene dalla Cina. La dipendenza USA si stima intorno all’80%. Gli Stati Uniti, attori globali nelle terre rare fino ai primi anni ’90, hanno abbandonato gli investimenti pubblici e la ricerca di base. La Cina ha sfruttato queste politiche.
Pressione, spionaggio e coercizione: la leva geoeconomica cinese
Dalla metà del 2025, la strategia cinese sulle terre rare è entrata in una fase significativamente più aggressiva e sofisticata. Non sono più semplici restrizioni, ma una miscela letale di pressione mirata sulle esportazioni, una potente leva finanziaria occulta e tattiche aggressive di estrazione di dati, supportate da una vasta e pervasiva operazione di spionaggio industriale e controspionaggio. Pechino ha evitato divieti generalizzati che genererebbero una reazione globale più forte. Ha preferito restrizioni dinamiche che disorganizzano le catene di approvvigionamento, pur mantenendo i canali diplomatici aperti. Una strategia di “soffocamento controllato”.
I dati doganali cinesi di Bloomberg lo confermano. Le esportazioni di terre rare verso gli USA sono crollate del 37% nell’aprile 2025. Le vendite di magneti in terre rare hanno avuto un tonfo ancora più netto: -58% verso gli USA e -51% globalmente. Il settore automobilistico ha accusato il colpo per primo. A maggio, Ford, GM e produttori europei hanno segnalato strozzature acute. Le scorte di magneti si sono esaurite. Mark Smith, CEO di NioCorp, ha sintetizzato la situazione senza mezzi termini: “L’industria automobilistica usa ora parole come panico, parlano di fermare le linee di produzione.” Un parziale, temporaneo recupero a maggio 2025 – esportazioni globali di REE rimbalzate del 23% dopo colloqui USA-Cina – non ha cancellato il rischio. I volumi restano ben al di sotto dei livelli del 2024. Lo spettro di nuove interruzioni continua a destabilizzare i mercati finanziari.
L’allarme per le aziende occidentali in Cina è massimo. Pechino esige informazioni commerciali sensibili: liste clienti, dati sui prezzi, dettagli di produzione. È una precondizione per le licenze sulle terre rare. Il Financial Times ha documentato la pressione su aziende europee e americane per divulgare segreti commerciali strategici in cambio dell’accesso alle forniture. Questa tattica arma l’autorità normativa cinese. Estrae intelligence aziendale. Espande l’influenza su industrie a valle.
Le agenzie di intelligence occidentali, tra cui l’FBI e l’MI5, hanno ripetutamente lanciato allarmi pubblici sulla portata e la sofisticazione dello spionaggio cinese, che mira a rubare proprietà intellettuale e segreti commerciali specificamente nel settore delle terre rare e delle tecnologie critiche a esse legate. In una rara apparizione congiunta, il Direttore dell’FBI, Christopher Wray, ha dichiarato che il governo cinese rappresenta “la più grande minaccia a lungo termine alla nostra sicurezza economica e nazionale”, mentre il Direttore Generale dell’MI5, Ken McCallum, ha definito la pressione occulta di Pechino “la sfida più trasformativa che affrontiamo”. Hanno evidenziato come la Cina impieghi una “attività professionale pianificata” di spionaggio a livello mondiale, non solo per rubare proprietà intellettuale e segreti commerciali (compresi i processi di raffinazione delle REE e le tecnologie di magneti avanzati), ma anche per infiltrarsi nelle infrastrutture critiche e influenzare la politica occidentale attraverso reti complesse, inclusi attori statali e non statali.
Strumenti operativi della guerra geoeconomica cinese
Le tattiche di questa aggressione geoeconomica includono:
- Cyber-spionaggio massivo. Gruppi come “Salt Typhoon”, legati allo stato cinese, hanno condotto attacchi persistenti contro operatori di infrastrutture critiche statunitensi, aziende di telecomunicazioni e altri settori, con l’obiettivo di “mappare le nostre infrastrutture, rubare i nostri dati, erodere il nostro vantaggio strategico dall’interno”. L’FBI ha avvertito che la Cina sta “pre-posizionando” capacità cyber per attacchi dirompenti.
- Reclutamento di personale. L’MI5 ha rivelato che agenti cinesi hanno contattato oltre 20.000 cittadini britannici su piattaforme professionali come LinkedIn per ottenere informazioni sensibili e reclutare fonti. L’FBI ha segnalato una campagna elaborata che utilizza siti di lavoro falsi e social media per reclutare ex lavoratori federali statunitensi, inclusi quelli con accesso a informazioni di sicurezza nazionale, con un focus sui settori tecnologici critici.
- Sfruttamento di aziende “front” e reti criminali. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e l’FBI hanno accusato e incriminato cittadini cinesi per schemi di hacking su larga scala a beneficio del governo cinese, spesso attraverso aziende di sicurezza informatica come “i-Soon”, che agiscono come intermediari per i servizi di intelligence cinesi. Questo fornisce un livello di “plausible deniability” per Pechino, mascherando le operazioni statali dietro entità private o apparentemente legittime.
- Pressione normativa e acquisizioni occulte. Contemporaneamente, fondi sovrani cinesi e conglomerati statali continuano ad acquisire quote in progetti minerari stranieri di terre rare, aziende di magneti avanzati e impianti di lavorazione. Pechino lega i permessi di esportazione alla partecipazione azionaria. Amplifica il suo controllo su flussi di materie prime e su strutture di proprietà aziendale lungo l’intera catena del valore delle terre rare.
La Cina ha già dimostrato la volontà di usare questa leva in contesti geopolitici specifici, e le tensioni sono aumentate significativamente con la guerra tariffaria avviata dall’amministrazione Trump, che ha provocato risposte immediate da Pechino, inclusa la minaccia di limitare le esportazioni di REE.
- 2010. Il PCC ha limitato le esportazioni di REE in Giappone dopo uno scontro navale vicino alle contese isole Senkaku.
- Guerra tariffaria di Trump (2018-2019). In risposta ai dazi statunitensi su prodotti cinesi, Pechino ha minacciato di utilizzare la sua posizione dominante nelle terre rare come contromisura. Sebbene non ci siano stati blocchi totali immediati, la sola minaccia ha generato forte ansia e volatilità nei mercati, evidenziando la vulnerabilità occidentale. La Cina ha imposto contro-dazi e limitazioni su vari prodotti, tra cui il gadolinio essenziale per risonanze magnetiche negli USA. La stampa ha riferito di “panico” e “blocco” per i settori chiave.
- 2020. Pechino ha minacciato di ridurre la fornitura di terre rare agli appaltatori della difesa USA (inclusa Lockheed Martin) per la vendita di armi a Taiwan.
- 2022. La campagna di influenza “Dragonbridge” (Mandiant) ha preso di mira la australiana Lynas Rare Earths Ltd. Critiche ambientali, incitamento a proteste contro un impianto in Texas. Sono state colpite anche la canadese Appia Rare Earths & Uranium Corp e la USA Rare Earth.
- Recenti limitazioni cinesi all’export (aprile 2025). La Cina ha sospeso le esportazioni di alcune terre rare pesanti e magneti verso tutti i paesi, inclusi Giappone e Germania, non solo gli Stati Uniti, come ritorsione ai nuovi dazi Trump. Questo ha provocato immediate strozzature e allarmi per l’industria tech globale.
- Accordi e de-escalation (giugno 2025). Di fronte a questa pressione, gli Stati Uniti e la Cina hanno annunciato un accordo quadro per facilitare le esportazioni di terre rare verso gli USA. Il Presidente Trump ha confermato che le forniture riprenderanno in cambio di concessioni americane (inclusa l’accettazione di studenti cinesi nelle università USA). La Cina ha confermato la volontà di eliminare alcune restrizioni all’export. Tuttavia, la stabilità di tali accordi è sempre precaria, come ha dimostrato il fatto che dopo i colloqui di Ginevra (maggio 2025), Pechino aveva reintrodotto le limitazioni rallentando il rilascio delle licenze, costringendo gli USA a nuovi negoziati.
Questa intensificazione delle tattiche, tuttavia, comporta anche rischi per Pechino. The National Interest avverte: un’eccessiva aggressività potrebbe spingere USA, UE, Australia e Canada a investire pienamente nella costosa costruzione di capacità domestiche di estrazione, raffinazione, riciclo e sostituzione. Se questa diversificazione accelererà, il dominio cinese potrebbe erodersi seriamente nel prossimo decennio.
Ma per ora, la campagna cinese sulle terre rare del 2025 è una miscela squisitamente calibrata di coercizione, finanza e diplomazia. Non è solo una stretta sulle materie prime. È l’orchestrata manipolazione di dipendenze globali, flussi di capitale e vulnerabilità aziendali. Le terre rare non sono più minerali. Sono strumenti nel grande scacchiere della statualità economica del 21° secolo.
L’architettura del dominio: centralizzazione interna cinese
Il processo di consolidamento del settore delle terre rare in Cina è iniziato nel 2012, creando sei conglomerati statali regionali. Un passo decisivo è stato compiuto nel dicembre 2021: la creazione della China Rare Earth Group. Questa azienda statale cinese è il risultato della fusione di giganti come China Minmetals, Aluminium Corp. of China (Chinalco) e Ganzhou Rare Earth Group, più due importanti istituti di ricerca. Sotto il diretto controllo della Commissione statale per la supervisione e l’amministrazione dei beni di proprietà del Consiglio di Stato, questo nuovo conglomerato controllerà le terre rare pesanti e medie della Cina, coprendo circa il 30-40% dell’offerta globale.
Gli obiettivi di questa fusione sono chiari:
- Consolidare il controllo. Blindare la posizione dominante cinese.
- Ottimizzare la filiera. Aumentare efficienza, razionalizzazione e competitività, riducendo la concorrenza interna.
- Contrastare la concorrenza esterna. Reagire alle ambizioni di altri paesi di ridurre la dipendenza dalla Cina.
L’espansione globale del controllo cinese: America Latina e Africa
La strategia di Pechino per assicurarsi il dominio sui minerali critici si estende ben oltre i confini del Myanmar e le proprie riserve domestiche, abbracciando una vasta rete di acquisizioni e investimenti diretti in America Latina e in Africa. Questi continenti, ricchi di risorse ma spesso carenti di capitali e infrastrutture di lavorazione, sono diventati un obiettivo primario per la Cina, che opera con una visione a lungo termine e una disponibilità a investire in contesti che l’Occidente ha spesso trascurato o trovato troppo rischiosi.
In Africa: il cobalto e oltre
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è l’esempio più eclatante. Questo paese produce oltre il 70% del cobalto mondiale, un minerale essenziale per le batterie dei veicoli elettrici e l’elettronica. Le imprese statali cinesi e le banche di sviluppo controllano già l’80% della produzione totale di cobalto della RDC. Delle dieci più grandi miniere di cobalto al mondo, nove si trovano nella regione di Katanga, nel sud della RDC, e di queste, la metà è di proprietà di aziende cinesi. Progetti come la miniera di rame-cobalto di Sicomines, sostenuta da finanziamenti cinesi in cambio di sviluppo infrastrutturale, illustrano il modello. Nel 2025, la RDC ha introdotto restrizioni all’export di cobalto, ma questo ha principalmente causato un’impennata dei prezzi, che ha beneficiato anche le compagnie cinesi che già controllano la maggior parte della produzione e lavorazione. La Cina sta investendo massicciamente anche in altri minerali critici in paesi africani come il Sudafrica, puntando a diversificare le fonti di approvvigionamento e a rafforzare la sua “assicurazione contro le guerre commerciali”, come evidenziato da report del 2025.
In America Latina: la corsa al litio e le risorse rare
Il “Triangolo del Litio” – formato da Argentina, Bolivia e Cile – è al centro dell’attenzione cinese. Questo è un altro minerale critico fondamentale per la transizione energetica. Aziende cinesi hanno investito pesantemente nell’acquisizione di quote e nello sviluppo di progetti di estrazione di litio, con un modello che spesso implica grandi profitti per le aziende a scapito delle comunità locali e dell’ambiente, come segnalato da analisi del 2025. Sebbene l’Argentina miri ad aumentare la produzione di litio del 75% nel 2025, la Cina rimane un acquirente e investitore dominante.
Per quanto riguarda le terre rare in senso stretto, il Brasile sta emergendo come un attore significativo. Con riserve stimate in 21 milioni di tonnellate (USGS 2025), il Brasile è un obiettivo chiave per la diversificazione cinese, qualora le forniture da altre regioni si rendessero incerte. Progetti brasiliani come Serra Verde mirano a produrre 5.500 tonnellate di ossidi di terre rare annualmente entro il 2026. La Cina, attraverso investimenti e accordi, mira a garantire l’accesso a queste nuove fonti, spesso offrendo tecnologie di separazione e lavorazione che i paesi locali non possiedono.
Questa espansione globale non solo garantisce alla Cina l’accesso a un vasto portafoglio di minerali critici, ma le permette anche di stabilire punti di controllo strategici che amplificano la sua influenza geoeconomica, rendendo ancora più complessa la sfida per l’Occidente di costruire catene di approvvigionamento veramente autonome.
Il ruolo del Myanmar nella catena di approvvigionamento cinese
La strategia cinese di dominio sulle terre rare non si limita al controllo interno e alla manipolazione dei mercati globali; essa si estende al controllo delle fonti esterne, e il Myanmar rappresenta un caso emblematico e cruciale. Questo paese, dilaniato da conflitti interni e caratterizzato da una governance debole, è diventato il principale fornitore esterno di terre rare pesanti per la Cina, elementi indispensabili per i magneti ad alte prestazioni e le tecnologie di difesa.
Un’anomalia geologica e geopolitica
Il Myanmar, in particolare lo Stato di Kachin al confine con la Cina, possiede riserve significative di terre rare, soprattutto quelle pesanti come il disprosio e il terbio, che sono più rare e difficili da estrarre. Mentre la Cina ha esaurito parte delle sue riserve domestiche di REE pesanti e ha inasprito le normative ambientali interne, il Myanmar ha offerto una fonte di approvvigionamento a basso costo e con regolamentazioni quasi inesistenti. Nel 2024, il Myanmar ha fornito 44.000 tonnellate di terre rare alla Cina, pari al 57% delle sue importazioni totali di REE, un aumento drammatico rispetto alle 25.000 tonnellate del 2020. Tra il 2017 e il 2024, il Myanmar ha esportato oltre 290.000 tonnellate di materiale di terre rare verso la Cina, per un valore di oltre 4,2 miliardi di dollari, con l’85% di questo valore generato dopo il colpo di stato del 2021.
Il controllo cinese tra milizie e debito
La Cina ha costruito una rete complessa di influenza in Myanmar, sfruttando la fragilità politica e il conflitto civile.
- Milizie e sicurezza. Recenti indagini (giugno 2025) hanno rivelato il coinvolgimento di milizie sostenute dalla Cina nella protezione delle operazioni minerarie di terre rare nello Stato di Shan e Kachin. Queste milizie, spesso legate a gruppi etnici armati o a forze paramilitari locali, garantiscono la sicurezza delle miniere e il flusso dei minerali verso la Cina, anche in aree controllate da ribelli. La Cina, pur mantenendo relazioni con la giunta militare, ha dimostrato pragmatismo nel trattare con attori non statali, come l’Esercito di Indipendenza Kachin (KIA), che controlla alcune delle miniere più importanti. Secondo alcune analisi, tutte le negoziazioni tra l’esercito del Myanmar e il KIA sono ora supervisionate a Kunming da funzionari dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) cinese, cementando di fatto la presa di Pechino sulla regione.
- Leva economica e debito. Il Myanmar è un partner chiave nella Belt and Road Initiative (BRI) cinese, in particolare attraverso il China-Myanmar Economic Corridor (CMEC), che include progetti infrastrutturali come porti in acque profonde (Kyaukphyu), ferrovie e gasdotti che collegano la provincia cinese dello Yunnan all’Oceano Indiano. Questi progetti, spesso finanziati con prestiti cinesi, hanno creato una significativa dipendenza economica e di debito per il Myanmar. Sebbene il valore totale degli investimenti cinesi approvati in Myanmar ammontasse a 21,99 miliardi di dollari a luglio 2024, la percezione di questi progetti è spesso quella di un’estrazione di risorse piuttosto che di uno sviluppo equo, alimentando le economie di guerra locali. La Cina ha la capacità di negoziare la sicurezza dei suoi asset con attori diversi dal governo centrale, sfruttando la sua influenza finanziaria e diplomatica.
- Vulnerabilità della supply chain cinese. Sebbene il Myanmar sia cruciale per la Cina, anche questa catena di approvvigionamento presenta vulnerabilità. I conflitti interni in Myanmar hanno causato interruzioni significative. Ad esempio, a fine 2024, quando il KIA ha intensificato i combattimenti contro la giunta militare e ha preso il controllo di alcune miniere, la Cina ha temporaneamente chiuso il commercio di confine, provocando un’impennata dei prezzi di disprosio e terbio. Un terremoto di magnitudo 7.7 nel marzo 2025 ha ulteriormente interrotto la produzione di REE, esponendo una vulnerabilità strategica per la Cina stessa, la cui forza di lavorazione è minata se gli input di materie prime sono limitati.
In sintesi, il Myanmar è diventato un’estensione del sistema di approvvigionamento di terre rare della Cina, consentendo a Pechino di esternalizzare le passività ambientali e di garantire l’accesso a minerali critici, in particolare le terre rare pesanti. Questa relazione, tuttavia, è intrinsecamente legata alla complessa e instabile situazione politica interna del Myanmar, rendendola un punto di forza ma anche una potenziale vulnerabilità per il dominio cinese.
Il costo nascosto: impatti ambientali e umani del dominio cinese
Il dominio cinese sui minerali critici, sebbene economicamente efficiente per Pechino, ha comportato un costo ambientale e sociale devastante, spesso esternalizzato a paesi con normative deboli e governi fragili. Questa “corsa alle risorse” ha generato un impatto ecologico profondo e denunce crescenti da parte di comunità e organizzazioni internazionali, spesso intrecciandosi con pratiche criminali e violazioni dei diritti umani.
Myanmar: il disastro ecologico tra sfruttamento e illegittimità
Nello Stato di Kachin, in Myanmar, l’estrazione delle terre rare pesanti da parte di operazioni a supporto cinese ha trasformato interi paesaggi in zone lunari. Le miniere di argilla a scambio ionico, sebbene efficaci, utilizzano enormi quantità di soluzioni chimiche tossiche (come solfato di ammonio) che, una volta estratte le terre rare, vengono scaricate senza alcun trattamento. Questo ha avvelenato i corsi d’acqua, rendendo l’acqua non potabile per le comunità locali, distruggendo la biodiversità fluviale e compromettere l’agricoltura. Organizzazioni come Global Witness e l’Environmental Investigation Agency (EIA) hanno documentato estesamente la deforestazione massiva, l’erosione del suolo e la contaminazione irreversibile del territorio, spesso legata a operazioni minerarie illegali o semi-legali che prosperano nel caos post-colpo di stato del Myanmar. Nel 2025, le denunce locali sono aumentate, evidenziando una crescente disperazione per la perdita di mezzi di sussistenza e l’aumento delle malattie legate all’inquinamento. Queste attività minerarie non regolamentate sono spesso associate a gravi violazioni dei diritti umani, inclusi il lavoro forzato e condizioni di quasi schiavitù, in un contesto dove le milizie armate locali – alcune delle quali legate a interessi cinesi – controllano i siti e i lavoratori, e i proventi illeciti alimentano un esteso riciclaggio di denaro.
Repubblica Democratica del Congo: il prezzo del cobalto e del sangue
In RDC, la dominanza cinese nel settore del cobalto ha aggravato le problematiche ambientali preesistenti. Le operazioni minerarie intensive, spesso con poca supervisione, hanno portato a massicce discariche di rifiuti tossici e scarti di lavorazione. Questi residui contaminano l’aria, il suolo e soprattutto le fonti d’acqua, causando gravi problemi di salute per le popolazioni locali, inclusi difetti alla nascita e malattie respiratorie. Il problema del lavoro minorile (ampiamente documentato da Amnesty International e UNICEF) in condizioni estremamente pericolose persiste, con bambini che lavorano in gallerie non sicure o vicino a cumuli di scarti tossici, in condizioni che rasentano la schiavitù moderna. Il degrado ambientale è altrettanto critico, con i fiumi che scorrono con colori innaturali a causa dei metalli pesanti. Nel 2025, nuove analisi satellitari hanno rivelato un’espansione aggressiva delle aree minerarie con conseguente perdita di foreste e habitat. I proventi di alcune di queste operazioni opache sono sospettati di essere coinvolti in vasti schemi di riciclaggio di denaro che attraversano confini internazionali.
America Latina: litio e la crisi idrica
Nei “Triangoli del Litio” di Cile, Argentina e Bolivia, le operazioni di estrazione, molte delle quali con significativo coinvolgimento cinese, hanno generato intense preoccupazioni ambientali. L’estrazione del litio da salamoie sotterranee richiede enormi quantità d’acqua dolce in regioni aride, esacerbando la scarsità idrica per le comunità locali e l’agricoltura. Le vaste piscine di evaporazione (brine ponds) alterano gli ecosistemi salini e vi sono timori di contaminazione delle falde acquifere con metalli pesanti e altre sostanze chimiche utilizzate nel processo. Le proteste delle comunità indigene, spesso quelle più colpite dalla scarsità d’acqua e dall’alterazione del paesaggio, si sono intensificate nel 2024-2025, chiedendo maggiore trasparenza e pratiche sostenibili, e denunciando la mancanza di benefici economici a fronte del danno ambientale e sociale.
Questi casi dimostrano come la ricerca cinese di risorse strategiche all’estero, spesso in contesti di governance debole, abbia contribuito a un modello di sviluppo che esternalizza i costi ambientali e sociali. Questo crea una sfida etica e di sostenibilità per l’Occidente, che cerca di diversificare le proprie catene di approvvigionamento mantenendo standard più elevati.
Le contromisure occidentali per riconquistare autonomia strategica
La gravità della dipendenza occidentale dalle terre rare cinesi impone una risposta strategica immediata e coordinata. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i loro alleati stanno finalmente accelerando le iniziative, sebbene il percorso per un’autonomia significativa sia lungo e costoso. La posta in gioco è la sicurezza nazionale e la competitività tecnologica.
- Diversificazione delle fonti di estrazione: riprendere la mina e il territorio
- Progetti domestici e alleati. Sia gli Stati Uniti che l’UE stanno investendo in nuovi giacimenti minerari al di fuori della Cina. Gli USA, ad esempio, hanno intensificato le esplorazioni e gli investimenti in paesi come l’Australia (es. espansione della capacità di Lynas Rare Earths, con supporto governativo di $120 milioni per nuove strutture di separazione), il Canada (con significativi investimenti in esplorazione e sviluppo, e scoperte nelle Territori del Nord-Ovest) e l’Africa (Tanzania e Namibia hanno attratto oltre $350 milioni in investimenti). L’UE, nel giugno 2025, ha annunciato 13 nuovi progetti strategici per materie prime al di fuori dei suoi confini, focalizzati sia sull’estrazione che sulla lavorazione, con l’obiettivo di diversificare le forniture. È fondamentale accelerare i processi di autorizzazione, attualmente lunghi decenni, pur mantenendo standard ambientali rigorosi.
- Accordi strategici. Vengono siglati accordi per garantire l’accesso. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno stretto intese per la cooperazione sulle materie prime critiche con l’Arabia Saudita e stanno esplorando risorse minerarie in Ucraina, sebbene i negoziati (come quelli di febbraio 2025 con l’ex Presidente Trump) si siano dimostrati complessi e politicamente delicati.
- Potenziamento delle capacità di raffinazione e lavorazione: ricostruire il “midstream” perduto
- Investimenti infrastrutturali. La vera sfida non è solo l’estrazione, ma la capacità di raffinare e separare le terre rare. Gli USA stanno supportando aziende come MP Materials (la cui azione è aumentata del 40% a maggio 2025 grazie alla ripresa produttiva del suo impianto di magneti in Texas, finanziato dal Pentagono). L’UE, tramite il Critical Raw Materials Act (CRMA) entrato in vigore nel maggio 2024, ha fissato obiettivi ambiziosi: estrarre almeno il 10% del consumo annuale di materie prime strategiche entro il 2030 e processarne almeno il 40% all’interno dell’UE. Il CRMA prevede anche tempistiche accelerate per i permessi (27 mesi per l’estrazione, 15 mesi per la trasformazione e il riciclo dei progetti strategici). La Commissione europea ha già annunciato l’elenco dei primi “Progetti Strategici” riconosciuti entro marzo 2025.
- Tecnologie pulite e sostenibili. L’Occidente mira a sviluppare processi di raffinazione più puliti ed efficienti per evitare gli impatti ambientali storicamente associati all’industria cinese, che per anni ha operato con standard permissivi. Aziende come Phoenix Tailings negli USA stanno perseguendo capacità di raffinazione domestica con tecnologie innovative.
- Innovazione, sostituzione e riciclo: la via dell’economia circolare
- Ricerca e sviluppo di materiali alternativi. Una priorità è la R&S su materiali che possano ridurre o eliminare la necessità di REE, specialmente nei magneti, dove neodimio e disprosio sono cruciali. L’obiettivo è un design che riduca la dipendenza da questi elementi critici.
- Riciclo di terre rare (urban mining). Il riciclo emerge come una soluzione strategica e ambientalmente sostenibile. Il mercato del riciclo delle terre rare è stimato a $23,720 milioni nel 2025 e si prevede una forte crescita. Tecnologie avanzate di separazione e purificazione stanno rendendo il riciclo più economicamente sostenibile. Il segmento dei magneti è il più promettente, data la crescita dei veicoli elettrici e delle turbine eoliche. Aziende come CoTec Holdings Corp. stanno sviluppando impianti di riciclo di magneti negli USA (es. Dallas-Fort Worth) che utilizzano idrogeno per estrarre polveri di magneti ad alta purezza da prodotti a fine vita, eliminando processi ad alta temperatura o lisciviazione chimica. L’UE, con il CRMA, punta a riciclare almeno il 25% del suo consumo annuo di materie prime strategiche entro il 2030, promuovendo un forte mercato secondario.
- Nuove tecnologie di estrazione. Si esplorano anche metodi innovativi come il bioleaching (estrazione da scarti minerari) e l’utilizzo di argille a scambio ionico (IAC) al di fuori della Cina, che permettono una produzione più rapida (4-7 anni) rispetto alle miniere tradizionali.
- Costruzione di riserve strategiche.
- Molti governi occidentali, inclusa l’UE, stanno sviluppando piani ambiziosi per stabilire riserve strategiche di terre rare, analogamente alle scorte di petrolio e gas. Questo creerebbe un cuscinetto contro shock improvvisi nell’approvvigionamento e fornirebbe tempo per attivare fonti alternative in caso di crisi.
- Cooperazione internazionale e alleanze rafforzate:
- Alleanze come la Minerals Security Partnership (MSP), guidata dagli USA, sono vitali per coordinare gli sforzi e mobilitare investimenti privati e pubblici. La cooperazione include paesi come Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud e India.
- La definizione di standard comuni per la produzione sostenibile e responsabile delle terre rare è cruciale. Questo crea un’alternativa etica e affidabile al modello cinese, che in passato ha trascurato gli impatti ambientali.
- Politiche governative e supporto finanziario continuo: l’emergenza del protezionismo strategico
- La legislazione, come il già citato CRMA dell’UE, è fondamentale per dare un quadro chiaro e accelerare i processi. Gli USA hanno emanato ordini esecutivi (es. aprile 2025, “Unleashing America’s Offshore Critical Minerals and Resources”) per accelerare lo sviluppo delle risorse minerarie sottomarine e terrestri.
- Programmi di finanziamento pubblici e partenariati pubblico-privato sono indispensabili per sostenere gli ingenti costi iniziali di esplorazione, estrazione, raffinazione e R&S. La BEI, ad esempio, sta triplicando i fondi per le PMI europee nel settore difesa e materie prime.
- Vengono valutati strumenti come i crediti all’esportazione per ridurre il rischio degli investimenti all’estero e politiche di “procurement preferences” per materiali di origine occidentale o alleata.
- Emergenza di politiche protezionistiche. Un fenomeno crescente è l’adozione di politiche più protezionistiche per salvaguardare gli asset minerari strategici. Un caso esemplare è l’azione legale intrapresa oggi dal governo australiano contro un gruppo di investitori cinesi per presunta violazione delle leggi sugli investimenti esteri. Il Tesoriere australiano Jim Chalmers ha annunciato l’azione contro la Indian Ocean International Shipping and Service Company per non aver rispettato l’ordine di vendere le azioni acquisite in Northern Minerals, sviluppatore del progetto Browns Range. Questo giacimento, situato nel nord del Western Australia, è particolarmente ricco di disprosio e terbio, due delle terre rare più preziose, essenziali per l’industria e la difesa, e la cui fornitura è attualmente dominata dalla Cina. Entrambi i materiali erano stati inclusi in un recente blocco temporaneo all’export cinese verso gli Stati Uniti. Il terbio è stato anche recentemente aggiunto all’inventario dei prodotti di Lynas Rare Earths, che collabora strettamente con il governo statunitense per la raffinazione delle terre rare. Il progetto Browns Range è considerato il più grande giacimento di disprosio e terbio al di fuori della Cina. Questo caso sottolinea la crescente determinazione degli stati a difendere le proprie risorse strategiche attraverso strumenti legali e normativi, anche a costo di tensioni diplomatiche.
L’implementazione di queste strategie è complessa e richiede una volontà politica inequivocabile e investimenti significativi. Le dinamiche in corso nel 2025, con l’intensificarsi delle restrizioni cinesi e le risposte occidentali (come gli accordi recenti, seppur fragili, sulle esportazioni di REE tra USA e Cina), sottolineano l’urgenza di passare dalle parole ai fatti per garantire la sicurezza economica e tecnologica dell’Occidente.
Mountain pass: il simbolo del ripensamento strategico
Il mondo è pieno di esempi di paesi che hanno abbandonato industrie chiave per favorire la delocalizzazione, solo per poi cambiare rotta di fronte a nuove realtà geopolitiche. Questa inversione di tendenza si è intensificata in un’epoca di relazioni commerciali frammentate e politiche protezionistiche. C’è un forte desiderio di ripristinare il settore tessile del Regno Unito, che ha avuto un ruolo di primo piano nella Rivoluzione Industriale; l’Australia vuole rivitalizzare aspetti lungimiranti di un’industria automobilistica nazionale che è crollata; e il Giappone sta spendendo migliaia di miliardi di yen per rivitalizzare la produzione nazionale di semiconduttori. In tutti questi casi, considerazioni di costo, pulizia ed efficienza hanno portato alla conclusione che sarebbe stato meglio importare. Oggi, la sicurezza e la resilienza hanno ribaltato quella logica.
La miniera di terre rare di Mountain Pass, in California, non lontano dal confine con il Nevada, incarna perfettamente questo ripensamento. È l’unica miniera di terre rare operativa negli Stati Uniti e la sua storia è emblematica della parabola occidentale. Fondata nel 1919 come Molybdenum Corporation (prendendo il nome da un metallo utilizzato dai giapponesi e dai tedeschi, poi per la propulsione dei razzi), l’azienda nel 1950 ha acquistato concessioni nel deserto del Mojave dopo la scoperta di bastnaesite, un minerale contenente terre rare. Nel 1961, sponsorizzava già la ricerca accademica sui REE. La scoperta che una varietà specifica poteva esaltare il rosso nei televisori a colori, allora in rapida ascesa, ha scatenato un’impennata nella produzione.
Il mercato ha avuto alti e bassi. Dopo un rebranding e un’acquisizione, le vendite del più grande fornitore americano sono diminuite negli anni ’80 con il calo dell’uso delle terre rare come catalizzatori nella raffinazione del petrolio. Nel 2002, con il fiorire della globalizzazione, l’attività mineraria a Mountain Pass si è bloccata. Era stata documentata una contaminazione delle falde acquifere. Competere in un mercato globale sempre più dominato dalla Cina sembrava inutile.
Più o meno nello stesso periodo, anche l’altra estremità della catena di approvvigionamento si è dismessa quando un produttore di magneti in terre rare dell’Indiana ha trasferito le sue attività in Cina. Secondo il suo ex CEO, l’azienda perdeva 5 milioni di dollari all’anno. Trasferire la produzione più vicino alle materie prime sembrava la soluzione logica.
A fine 2023, la Cina rappresentava oltre il 69% della produzione globale di terre rare e circa il 90% dei magneti finiti necessari per veicoli elettrici e turbine eoliche. La domanda era elevata e destinata a continuare a crescere.
Nel 2023, qualcosa è cambiato: il nuovo proprietario della miniera di Mountain Pass ha ricominciato a separare le terre rare che aveva iniziato a estrarre lì nel 2017, invece di affidare tale compito a un’azienda cinese. Un atto di “rimpatrio di una capacità critica per la sicurezza nazionale”. L’azienda sta assumendo attivamente, con un lavoro come operatore di frantoio che retribuisce fino a 36,80 dollari all’ora, circa quattro volte il salario medio nel settore minerario in Cina. All’inizio del 2025, ha iniziato a produrre magneti in terre rare in Texas. Questo dimostra come gli investimenti mirati, anche a fronte di costi più elevati, possano riattivare settori cruciali e creare opportunità di lavoro qualificato, incidendo positivamente sulle assunzioni di personale in un’ottica di sicurezza e resilienza nazionale.
La sfida futura per la sicurezza economica occidentale
La vicenda delle terre rare non è una storia di commercio. È l’emblema della geopolitica del 21° secolo. Le materie prime non sono input industriali. Sono armi economiche e diplomatiche. Il dominio cinese sull’estrazione, raffinazione e lavorazione a valle le ha conferito una leva straordinaria contro USA ed Europa. Una miscela raffinata di restrizioni selettive, acquisizioni finanziarie, coercizione normativa, estrazione di dati aziendali e una pervasiva attività di spionaggio e controspionaggio. Pechino ha trasformato le terre rare da minerali oscuri in strumenti di influenza globale.
Questo vantaggio asimmetrico, tuttavia, non è privo di vulnerabilità. Ogni mossa aggressiva da parte della Cina incentiva le nazioni occidentali ad accelerare gli sforzi per la diversificazione, l’indipendenza della catena di approvvigionamento e la sostituzione tecnologica. La finanziarizzazione delle terre rare, evidente dalla forte volatilità nei mercati azionari e delle materie prime, riflette non solo l’eccitazione speculativa ma anche la fragilità di un sistema di approvvigionamento globale eccessivamente concentrato.
Considerando la profondità di questa dipendenza e il vasto divario temporale negli investimenti e nelle capacità tecnologiche, quale sarà la capacità reale di Stati Uniti e Unione Europea di mitigare efficacemente questa vulnerabilità strutturale e ricostruire una catena di approvvigionamento resiliente e autonoma? La sicurezza economica e tecnologica dell’Occidente è in gioco.